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GLI EDITORIALI DELLE VARIE RIVISTE D'ARTE

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arte - GLI EDITORIALI DELLE VARIE RIVISTE D'ARTE - Pagina 3 Empty Re: GLI EDITORIALI DELLE VARIE RIVISTE D'ARTE

Messaggio Da Notaio Mar 14 Giu 2016, 00:28

Un bell'articolo quello che vi pubblico della brava Lorella, che condivido al 100%.

Lorella Pagnucco Salvemini, Arte In, giugno-luglio 2016.

Gli abbagli del marketing globale.
NEW YORK: IL PUPAZZETTO DEL FÜHRER FIRMATO CATTELAN PAGATO 17,2 MILIONI DI DOLLARI

C’erano una volta i collezionisti: regnanti, principi della chiesa, nobili di illustri casati, spesso in guerra fra loro, a contendersi non solo terre e potere, ma anche i più geniali artisti del loro tempo. Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Caravaggio, Tiepolo non sarebbero passati alla storia senza la loro illuminata munificenza. Poi, fu la volta della committenza borghese, quella delle grandi famiglie di mercanti fiamminghi, olandesi. Volevano una pittura che li rappresentasse così come erano, operosi e floridi, ricchi in virtù delle proprie fatiche e grazie alla benevolenza divina. Anche loro ci hanno consegnato capolavori, secondo una linea che va da van Eyck a Vermeer, Rembrandt, Frans Hals, fino alla nascita della natura morta e della pittura di genere. Il resto è storia contemporanea, spesso storia di degenerazione contemporanea. Il collezionista colto e raffinato, dal gusto sicuro e indipendente è sempre più raro. Quello in grado di imporre una propria tendenza, e non di seguire pedissequamente i dettami della moda del momento, una mosca bianca. Vive in disparte dai riflettori, evita i vernissage griffati Moma o Tate. Sa che l’arte, oggi, va cercata altrove, in Australia o nella galleria sotto casa, dappertutto purché lontano dalle luci della ribalta. è uno che non si lascia stordire dalle fanfare mediatiche. Si informa, ma dopo pensa con la sua testa, che scuote esterrefatto alla notizia giunta fresca dall’ultima asta di Christie’s a New York, dove Him di Maurizio Cattelan è stato aggiudicato alla cifra record di 17,2 milioni di dollari. Così tanti soldi per un pupazzetto di cera e resina, materialmente realizzato da bravi artigiani?
Che trivialità e che bluff. Eppure, è proprio così che sta andando il mondo, a suon di trovate volgari, scambiate per genialità, e astute operazioni di marketing applicate a livello planetario. Prendiamo Him, (Lui), l’innominato. In realtà, raffigura un Hitler in taglia da bambino, inginocchiato, nell’atto della preghiera. A quale Dio si starà mai rivolgendo quell’inverosimile Führer in atteggiamento penitenziale: a Odin-Wotan? Un’opera che, comunque, ha già fatto il giro dei musei di mezzo mondo, irriverentemente collocata nel 2012 nell’ex ghetto di Varsavia. “Macché provocazione, la mia è un’opera spirituale”, la risposta dell’autore all’inevitabile, e ovviamente voluto, vespaio di polemiche che ne è seguito. E, ora, dulcis in fundo, a comprare il suo Hitler milionario è stato Marx. Erich, non Karl, certo, ma all’ironia della sorte non c’è limite. E, viene da chiedersi, che farà con quella sculturina il collezionista tedesco dal cognome impegnativo: la porrà a fianco di una edizione pergamenata del “Capitale”, scatterà sull’attenti, braccio destro teso in avanti, gridando Heil ogni volta che ci passerà davanti, o, sbollito l’entusiasmo per l’incauto acquisto, inizierà a pensare come liberarsi al più presto di quella sorta di subprime che si è portato a casa?
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arte - GLI EDITORIALI DELLE VARIE RIVISTE D'ARTE - Pagina 3 Empty Re: GLI EDITORIALI DELLE VARIE RIVISTE D'ARTE

Messaggio Da gianabo Mer 15 Giu 2016, 08:59

Bella l'equiparazione con i subprime.
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Messaggio Da Notaio Ven 19 Ago 2016, 21:49

E' il turno di Stefano Zecchi, Arte In, agosto-settembre 2016.

Una città bella è anche sicura.

In tutti i sondaggi emerge che tra le prime esigenze della gente c’è la sicurezza. Un’esigenza vera. Una città sicura è la città bella. Sembra un’affermazione provocatoria: cosa c’è di più inutile della bellezza, proprio da un punto di vista pratico, funzionale? Sicurezza dovrebbe significare controllo della regolarità della vita degli abitanti, aumento delle forze dell’ordine per la vigilanza, giustizia efficiente. In tutto questo, cosa c’entra la bellezza? Pensare alla bellezza di una città vuol dire immaginare che il perimetro in cui si racchiudono le nostre esistenze abbia una capacità di aggregazione e di trasmissione di valori positivi di relazione. Si consideri con uno sguardo molto rapido quale sia il significato della bellezza in una delle numerose città d’arte. Cosa sarebbe Venezia senza la bellezza che chiunque le riconosce? Niente; o, se si vuole, un’altra realtà qualsiasi, anonima. La bellezza di Venezia racconta il senso di una civiltà, perché – Aristotele lo dimostra – l’arte spiega molto più e meglio della storia. Dunque, per capire Venezia si deve capire il perché della sua bellezza. La bellezza è sempre stata una forza progettuale, utopica, visionaria, mai dissolutiva, reattiva, distruttiva. È costruzione nel segno della massima qualità da realizzare. Si consideri, ora, sempre in modo molto rapido, cosa rappresenti, proprio da un punto di vista della qualità, la periferia di una grande città. Nel nostro vocabolario quotidiano la parola “periferia” indica, ormai, senza tante sfumature, un luogo di degrado, dove non si vorrebbe mai andare a vivere. Perché? Perché la bellezza di un luogo è alla base del coinvolgimento dei cittadini a partecipare alle ritualità collettive fondamentali per la vita di una città. Dove c’è bellezza, c’è storia, e chi abita in quella storia si sente uno dei tanti protagonisti che, nel corso del tempo, è stato in quella città. Questo sentimento genera rispetto; se c’è quell’educazione estetica che aiuta a comprendere il valore dell’ambiente che ci circonda, si è maggiormente consapevoli di quanto amore si debba avere per gli spazi pubblici in cui si vive. Difenderli, proteggerli, esaltarli sempre più nella loro bellezza. Quando la bellezza di una città viene sacrificata a favore della funzionalità ed economicità dell’abitare, i risultati si otterranno a danno sia dei principi elementari su cui si basa l’aggregazione dei cittadini, sia del loro reciproco rispetto che dovrebbe essere imposto dalla qualità del luogo. Le periferie urbane, sempre più luoghi della violenza e della volgarità, hanno una storia; c’è un pensiero che le ha volute, che ha creduto fosse importante costruirle per concentrare in luoghi economici, esterni al centro della città, i lavoratori, gli operai: la fabbrica e la casa; il luogo del lavoro e il dormitorio. In questo contesto, gli architetti – grandi celebrità – hanno pensato che si potesse sviluppare la coscienza di classe, lontano dal contagio borghese che vive nel centro della città. Così è sorta la cosiddetta città di Gropius a Berlino, una realtà abitativa disgustosa; così è nata a Marsiglia l’Unitè d’Habitation di Le Corbusier, una realtà abitativa invivibile; così il Corviale a Roma di Mario Fiorentino, impossibile descrivere le sua indecenza; così lo Zen a Palermo di Vittorio Gregotti, al di là del male. E l’elenco è purtroppo chilometrico, in cui spiccano architetti devoti all’ideologia di sinistra, che mai si sono sognati di andare ad abitare nelle periferie da loro progettate, preferendo, ovviamente, abitare nel borghesissimo centro storico, bello. Il degrado delle periferie è irrecuperabile, perché lì è impossibile far vivere la bellezza. Le periferie andrebbero abbattute, non c’è altra possibilità per rispettare le persone. Si dovrebbe, invece, ripensare le zone limitrofe cittadine nel segno di una bellezza che s’irradia a partire dal centro storico urbano. Non ci sarà mai città sicura, se non si riesce ad armonizzare nella bellezza i suoi luoghi abitativi, i suoi temi civili, religiosi, educativi.
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arte - GLI EDITORIALI DELLE VARIE RIVISTE D'ARTE - Pagina 3 Empty LA PARABOLA DISCENDENTE DA DUCHAMP A KOONS

Messaggio Da Notaio Mar 13 Set 2016, 00:41

E' il turno di Lorella Pagnucco Salvemini, arte in world, agosto 2016.

Un bell'editoriale sulla
LA PARABOLA DISCENDENTE DA DUCHAMP A KOONS

I francesi lo chiamavano succès de scandal. Il termine aveva un suo fascino torbido, rimandava a qualcosa di peccaminoso, lasciava immaginare chissà quali lussurie in quali alcove. A praticarle erano i personaggi del bel mondo, baroni impettiti e impomatati, duchesse pallide e lascive, alti prelati dalla scarsa vocazione. Per non parlare dello stuolo di artisti sempre pronti con la scusa di un ritratto ad approfittare della faiblesse di gran dame per allacciare rapporti carnali e acquisire notorietà. Tempi che furono. Ci penseranno le avanguardie storiche, l’esistenzialismo, il femminismo, il ‘68 e le relative rivoluzioni sessuali, dei costumi e mediatiche a far apparire le trasgressioni di nonni, bisnonni e trisavoli ingenue, poco allettanti, ridicole, perfino. Eppure, ricorrere alla provocazione per ottenere popolarità è un modo tuttora piuttosto utilizzato, specie nel settore dell’arte contemporanea. Come se ci fosse ancora molto di cui scandalizzarsi. Come se fossimo rimasti a Duchamp e fosse necessario épater le bourgeois. Come se esistesse oggi un borghese che si lasciasse scuotere da una sfida d’artista. Quasi bastassero raffigurazioni di amplessi di personaggi famosi, di un papa abbattuto da un meteorite, di squali e tigri in formaldeide a conferire all’istante a quelle opere dignità estetica. Il discorso si fa ingarbugliato e si presta a fraintendimenti. Dalla fine dell’’800 ai grandi movimenti del ‘900, si è imparato a considerare come parte preponderante del fare artistico l’impeto polemico, dissacrante. L’arte liquida il ruolo di edonistica convivenza con il bello per riservarsi la funzione di svegliare le coscienze, di stimolare riflessioni profonde. Anelito nobile e condivisibile. Purtroppo, a oltre un secolo di distanza, tocca assistere a un epigono alquanto triste: predominio della trovata sull’idea, della volgarità sullo stile. Impera, anche nelle arti visive, un linguaggio che rimanda alla caserma, osceno (fuori scena, etimologicamente), che non si capisce perché debba godere delle luci della ribalta. Oltraggio al pubblico pudore, vilipendio alla chiesa, allo stato sono reati previsti dal codice, non encomiabili comportamenti estetici. Invece, questi artisti assurgono rapidamente agli onori della cronaca (sempre a caccia di notizie che suscitino scalpore), di una certa critica modaiola e pecorona (che li appoggia nel timore di non sembrare sufficientemente moderna) e del mercato (che visto il can-can mediatico comincia a comprare, non si sa mai). Più che passionari sinceramente in lotta contro i mali del nostro tempo, questi soggetti ricordano il cinismo di certi pubblicitari, abili strateghi dell’affermazione di un prodotto. Tutto diventa lecito, purché si parli di loro. Protestano, ma non accettano le proteste di chi dissente. Scalpitano, urlano alla censura, fanno gli indemoniati. Intanto le quotazioni crescono, in alcuni casi raggiungono cifre astronomiche. Prendiamo Hirst, Koons, Cattelan & company, per esempio: bisogna ammettere, hanno del genio. Chapeau a chi è stato capace di convincere tanta gente a spendere tanti soldi. Ma, per piacere, non chiamiamo capolavori i loro manufatti. Fanno pensare, sì: a tutto fuorché all’arte.


Già cara Lorella, fanno pensare soprattutto alla promozione pubblicitaria incentrata sulla raccolta dei polli, quelli ricchi e annoiati.




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Messaggio Da Notaio Gio 24 Nov 2016, 00:10

Arte mondadori novembre 2016, editoriale del direttore responsabile, Michele Bonuomo.

Un articolo incentrato sul perchè in Italia e all'estero le aste e le fiere, girino sempre sui soliti nomi, un'analisi sul sistema dell'arte e sulla sua inconsistenza soprattutto in Italia.

Ho fotografato l'articolo direttamente dalla rivista

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E' patetico giocare con la fontana di Duchamp, già.
Sembra che non ci si stufi mai di vedere questi assemblaggi di materiali di vario genere che qualcuno continua a chiamare arte, altrimenti Palazzo Strozzi non si sarebbe riempito di gommoni sulla facciata.
Di certo la percentuale del proprio bilancio che lo stato Italiano destina al mondo dell'arte continua a scendere.

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Messaggio Da Notaio Mar 07 Feb 2017, 00:23

E' il turno di Lorella Pagnucco Salvemini, arte in world, febbraio 2017.

Un bellissimo articolo contro un tale che anni fa diceva di essere andato in pensione.
Mi rifiuto però di pubblicare il cesso, mi dispiace.

Cara Lorella la pensiamo allo stesso modo.


Signore e signori, il Trash è servito

Finora, avevo cercato di mantenere un serafico, altezzoso silenzio sul water d’oro di Maurizio Cattelan. Ma quella tazza di 18 carati, probabilmente, merita qualche riflessione. Intanto, non è un lavoro destinato ad arredare una residenza Kitsch di qualche sceicco, a far pendant con la rubinetteria realizzata nello stesso materiale. Qui, avrebbe comunque avuto una sua logica: una grossolana esibizione di ricchezza da parte di chi è privo di educazione estetica.

Il wc di Cattelan, diversamente, si trova in uno dei più accreditati templi dell’arte contemporanea mondiale: il Guggenheim Museum di New York. E non è messo lì come un’opera d’arte qualsiasi, per essere guardata e non toccata. Come, per restare in tema escrementizio, un qualsiasi Orinatoio di Marcel Duchamp, o una qualsiasi Merda d’artista di Piero Manzoni. Troneggia, in tutto il suo luccicore abbagliante, nel gabinetto unisex al quarto piano del candido edificio partorito dalla mente di Frank Lloyd Wright. Abbinamento, già di per sé, in grado di provocare in persone minimamente assennate un moto sussultorio da ottavo grado della scala Richter. Chiunque, con la modica spesa di 25 dollari – il prezzo del biglietto di ingresso – si può accomodare e provare il brivido di espletare i propri bisogni fisiologici nel water closet d’artista. Ed eccoli, tutti in fila, i visitatori ad attendere pazientemente il proprio turno, per vivere quanto i comunicati stampa della prestigiosa istituzione consigliano come una “opportunità unica e intima di trovarsi faccia a faccia con un’opera d’arte”. Fruibile e non più solo contemplabile.

Ma fanno davvero? Lasciamo stare Cattelan, che il suo mestiere di provocatore e pubblicitario sa svolgere in maniera superlativa.

Un genio, nel suo campo. La gente e i critici e il direttore del museo, Richard Armstrong: tutti convinti, chi di proporre, chi di approcciarsi a una sublime esperienza estetica? Spirituale, anzi, secondo una dichiarazione dello stesso autore. Neanche un dubbio o, in subordine, un tentennamento? Nemmeno un barlume di buon senso o, in sua mancanza, un briciolo di buon gusto? Nessuno che si senta beffato, deriso, manipolato?

America è il titolo dato dallo stesso Cattelan al cesso d’oro, implicitamente suggerendo fin troppo facili associazioni fra l’opera e la nazione. Volgari e ingiuriose, ovviamente, com’è nel suo stile.

Dunque, da Paper toilette (la rivista da lui fondata) al golden wc: i cultori del trash sono serviti.

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Messaggio Da Notaio Gio 16 Mar 2017, 01:05

E' il turno di Stefano Zecchi, Arte in febbraio 2017


Anno nuovo, arte vecchia

"Ci saranno novità in questo nuovo anno?” mi domanda un signore che sta facendo con me la fila per spedire una raccomandata.

”Certo” gli rispondo. “Con Trump presidente degli Stati Uniti, cambia tutta la politica internazionale e, di conseguenza, quella europea. La forte alleanza di Trump con Putin ridisegnerà gli equilibri mediorientali”.

”Interessante: però non le avevo fatto quella domanda pensando di parlare con un esperto di politica, ma con un conoscitore dell’arte. La leggo sempre sulla rivista ArteinWorld “.

”Cambierà perfino il nostro modo di gestire l’immigrazione …” continuo a dirgli. ”Proprio non vuole rispondermi”.

”Troppo semplice. Capisce che immaginarsi nuovi scenari politici è più rischioso…”. ”Rispetto agli scenari artistici?” mi chiede.

”Certo, in questo mondo, in quello dell’arte, non cambierà niente”.

Continua.....

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Messaggio Da Notaio Sab 13 Mag 2017, 00:02

Riprendo con l'editoriale a cura di LORELLA PAGNUCCO SALVEMINI. Arte in World, Aprile 2017.

Da stracondividere al 101%. La notizia era già stata data in altro post del forum
(https://labellezzanellarte.forumattivo.it/t687-40-kg-di-sterco-davanti-a-palazzo-grassi-a-venezia-gli-animalisti-presentano-il-benvenuto-a-damien-hirst?highlight=hirst),
ma questo editoriale è veramente spettacolare.

Venezia • Protesta animalista: 40 kg di sterco per Damien Hirst

Arrivano in piena notte, nel buio e nel freddo di marzo, in una Venezia che ancora non presente la primavera. Un gruppetto di giovani dal sangue caldo per il loro ideale sbarca quatto quatto a San Samuele. Palazzo Grassi troneggia, solitario, nella sua magnificenza.
A fatica, si avvicinano all’edificio, trasportano pacchi voluminosi. Li aprono e sparpagliano davanti alla fabbrica settecentesca, partorita dalla mente di Giorgio Massari, 40 chili di sterco. La scritta sullo striscione depositata davanti al portone spiega la stravaganza dell’eroica e maleodorante impresa: “Damien Hirst go home! Beccati questa opera d’arte”. (Manzoni docet). Prima di dileguarsi, non mancano di apporre la firma, in cerca come tutti del quarto d’ora di notorietà.

Così, apprendiamo che i goliardi sono affiliati a “Centopercentoanimalisti”, una di quelle associazioni che ha più a cuore le sorti delle bestie che non degli esseri umani, che accoglie esclusivamente attivisti di rigida alimentazione vegana e tollera obtorto collo perfino i vegetariani. Non temono nulla, né la legge, né le ritorsioni di chi subisce le loro angherie. Paolo Mocavero, uno dei fondatori, dichiara spavaldo: “Per salvare la vita degli Animali (la maiuscola rivelatrice è sua), bisogna prima rovinare quella degli aguzzini”.

Allevatori, cacciatori, carnivori, circensi e donne in pelliccia siete avvisati.

Non sappiamo come Damien Hirst abbia preso l’ennesima notizia dell’attacco, questa volta escrementizio, degli animalisti: se con stizza, noia, o meraviglia; se ricorrendo al proverbiale sense of humor britannico ci abbia riso su, o se, invece, non abbia finito per riconoscere nei provocatori la sua stessa forma mentis. Fra simili, ci si dovrebbe intendere. In fondo, la sua popolarità è proporzionale alle forti reazioni di disgusto e disapprovazione suscitate dai lavori. La pecora e lo squalo tigre in formaleide, le 9.000 ali di farfalle: l’elenco sarebbe lungo e da museo degli orrori, o da laboratorio di scienziato pazzo. Un’arte folle per folli, ma guai a dirlo. Mister Saatchi (primo mentore dell’artista) e Monsieur Pinault (patron di Palazzo Grassi, dove il 9 aprile si è inaugurata la già controversa mostra) se ne potrebbero avere a male. Considerate le quotazioni da capogiro di Hirst e le opere in loro possesso, più per ragioni pecuniarie che non estetiche, osiamo pensare.

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Messaggio Da Notaio Gio 15 Giu 2017, 00:18

Carlo Vanoni, Arte in.

IL BAROCCO E LA FORMAZIONE DELL’ARTISTA DI ANVERSA.

IN ITALIA A 23 ANNI, PER IMPARARE DAI MAESTRI: E DIVENTÒ UN FUORICLASSE.

IL MOTORE DELL’ ARTE SI CHIAMA LINGUAGGIO E IL GRANDE FIAMMINGO LO ELABORÒ AL MASSIMO



Quando penso a Rubens mi viene in mente un bolide sportivo. Provo a spiegarmi. Il motore dell’arte si chiama linguaggio e il linguaggio si esprime attraverso una tecnica che, nel caso di Rubens, era la pittura. Nel 1600, se volevi gareggiare ad al livelli, un giretto in Italia te lo dovevi fare. E Rubens lo fece. Aveva 23 anni quando il 9 maggio 1600 lasciò Anversa per Mantova, ingaggiato come ritrattista da Vincenzo I Gonzaga. Raggiunse poi il circuito di Milano giusto per dare un’occhiata al Cenacolo vinciano e quindi quello di Venezia per vedere dal vero Tintore o e Tiziano, Pordenone e Veronese. Mancava Roma, ma ci arrivò subito dopo, per studiare Michelangelo e Raffaello e dipingere la pala dell’altare maggiore della Chiesa Nuova, con tanto di contratto firmato il 25 settembre 1506. Quattro mesi prima, a pochi passi da lì, un ragazzo di nome Ranuccio Tommasoni era stato ferito a morte da un pittore lombardo giunto a Roma qualche anno prima: Caravaggio. Roma e Venezia, all’epoca, erano una specie di autodromo con bolidi italiani che vincevano tu i gran premi. Rubens li studiò attentamente quei motori – e cioè i linguaggi – poi se ne tornò ad Anversa, dove il circuito del gran premio era pronto per la sua prova speciale. Qui entrò in pista gareggiando per le case più importanti , quella di Filippo IV re di Spagna e quella di Maria de’ Medici madre di Luigi XIII re di Francia, ma anche per i Doria di Genova e Carlo I d’Inghilterra.
Creò un team di decine d’assistenti, perché le richieste erano troppe e lui, generoso e disponibile con tutti , non voleva deludere nessuno dei committenti.

Si sposò due volte e fece cinque figli, di cui una, Clara Serena, apre la mostra nel ritratto di quando aveva 6 anni. A seguire la Maddalena in estasi che ispirò la Ludovica Albertoni di Bernini, l’Adorazione dei pastori ripresa da Pietro da Cortona, il ritratto di Giovan Carlo Doria a Cavallo, Susanna e i vecchioni prestata dall’Hermitage di San Pietroburgo, la prima versione della Vallicella per la Chiesa Nuova di Roma e il Cristo risorto ispirato al torso del belvedere. Quaranta opere di Rubens e trentacinque di altri artisti che lo hanno ispirato e che lui stesso ha ispirato durante il soggiorno italiano dal 1600 al 1608.

Chi è Rubens? Rubens è un Tiziano con il turbo, Tintoretto con più grazia ed eleganza, Veronese che sorpassa in curva, Correggio che supera il limite di velocità senza perdere il controllo, Michelangelo e Raffaello però con più cavalli.

Rubens è un bolide col pennello.

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Messaggio Da Notaio Mar 04 Lug 2017, 00:14

LORELLA PAGNUCCO SALVEMINI. Arte in World, luglio 2017.

L’Arte smorta / Deludente e noiosa la Biennale di Macel

Diciamo subito che la caratteristica principale della 57° Biennale internazionale d’arte di Venezia sta nell’indifferenza che suscita. Un’edizione né bella, né brutta, senza lode e senza infamia. Non è di destra, tantomeno di sinistra. Troppo politicamente corretta per accendere un’emozione, o stimolare un pensiero che vada oltre l’ovvio. Ci aspettavamo molto da Christine Macel, curatrice rampante, approdata in laguna direttamente da uno dei musei più à la page, quale il Centre Pompidou di Parigi: magari un pizzico della grandeur francese, qualche briciola di rigore cartesiano, una manciata di bagliori illuministi, qui e là l’apparizione di un guizzo rivoluzionario.

Nulla di tutto ciò. La sua megamostra risulta semplicemente, inesorabilmente, insopportabilmente noiosa. Girovaghiamo, soffocando sbadigli, per i Giardini, l’Arsenale e le Corderie, in cerca di qualche trasalimento, di qualche autore capace di stupire, coinvolgere, al limite inorridire, o perfino scandalizzare. Niente, a parte alcune eccezioni – ci mancherebbe che non ce ne fossero con 120 artisti in rassegna (la scenografica crudeltà di Roberto Cuoghi, per esempio). La manifestazione, come una signorinella dal volto scialbo e dal vestire sciatto, si fa dimenticare in fretta. Del resto, prevalgono – fra polvere, buchi neri, li di lana, cianfrusaglie varie – un odore di muffa e di aria stantia. Siamo – anzi, ci risiamo – all’estetica da rigattiere. Così, come da ogni bravo robivecchi che si rispetti, c’è posto un po’ per tutto: installazioni, lavori concettuali, figurativi, qualche video (capitato lì chissà come), qualche opera che vorrebbe provocare e, invece, non riesce a provocare nessuno (La grotta di Lourdes in versione luci rosse di Pauline Curnier Jardin).

Inoltre, è una biennale che a tratti risente della firma femminile, certo non femminista, della direttrice. Incontriamo artiste che, come vecchie zie, si mettono a confezionare libri di stoffa e a lavorare la carta all’uncinetto (le filippine Nunez e Rodriguez); o chi, come una nonna dall’antica sapienza contadina, propone l’Enciclopedia del pane (Maria Lai). Attività encomiabili, che tuttavia poco c’entrano con la biennale, tenuta per statuto a esporre le novità artistiche prodotte nel mondo nel corso degli ultimi due anni. E, dunque, che c’è di nuovo sotto il sole a nordest? – più precisamente, sotto la tediosa pioggerellina dei giorni del vernissage. Si racconta il nostro tempo con le tragedie delle guerre, delle migrazioni, dell’accoglienza, ma la narrazione non supera il livello della cronaca. Per questo, già bastano media e social.

Si ricorre a usurati passepartout, con i soliti proclami contro dollari, petrolio e colonialismo, si sprecano citazioni di Foucalt, Borges e Pasolini, verosimilmente facendoli rivoltare nelle proprie tombe.

“Viva Arte Viva” recita il titolo della manifestazione. Abbasso l’arte smorta è quanto viene dal cuore a visita conclusa.

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Messaggio Da Notaio Mer 15 Nov 2017, 01:00

Arte mondadori ottobre 2017.

Articolo sulla nota vicenda dei falsi Modigliani

arte - GLI EDITORIALI DELLE VARIE RIVISTE D'ARTE - Pagina 3 Apc_2010

arte - GLI EDITORIALI DELLE VARIE RIVISTE D'ARTE - Pagina 3 Apc_2011

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Messaggio Da Notaio Mar 28 Nov 2017, 00:15

LORELLA PAGNUCCO SALVEMINI. Arte in World, novembre 2017.

Quando la bellezza uccide.
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C’È DEL GRANDIOSO NELLA MORTE DEL TURISTA IN SANTA CROCE A FIRENZE

“A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti”: probabilmente, non tutti i turisti che entrano nella Basilica di Santa Croce a Firenze avranno in mente l’incipit dei “Sepolcri” del Foscolo e saranno animati dallo stesso anelito. Forse, non tutti credono che da una visita alle tombe dei grandi e dal dialogo silenzioso che si instaura con loro possano scaturire ispirazioni sublimi; che omaggiare il genio ci renda a nostra volta, se non geniali, almeno persone leggermente migliori. La maggior parte dei visitatori non ambisce a tanto. Anzi, nemmeno immagina una simile possibilità. Va a Santa Croce perché deve, perché fa parte del tour organizzato dall’agenzia viaggi ed è già tutto compreso nel prezzo, perché qualche suo amico c’è già stato e lui non può essere da meno. O per rimpinguare la propria narcisistica collezione di selfie, in una declinazione un po’ macabra. Molti, poi, si trovano a varcare la soglia di quel  glorioso tempio assai malvolentieri. Sono in vacanza, vorrebbero semplicemente spassarsela un po’: buon cibo, buon vino, un giro per le vie del centro per shopping griffati, qualche avventura galante, se capita. Sperando che capiti.  Di camminare fra tombe e sentir parlare di defunti proprio non ne avrebbero voglia. Leon Battista Alberti, Vittorio Alfieri, Michelangelo Buonarroti, Galileo Galilei, Niccolò Machiavelli e tutti gli altri che riposassero pure in pace, nel buio dei propri pomposi sepolcri. Loro di là, nel misterioso mondo dei trapassati; i vivi di qua, a godersi la vita. “Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza”: parole di un altro illustre fiorentino, Lorenzo il Magnifico.

Parole sante, spesso profetiche.

Un accidente può sempre capitare a chiunque. L’imprevisto nefasto, a volte, è dietro l’angolo. A volte, piomba letteralmente in testa: un fulmine, una tegola. Può perfino accadere che a colpire sia un capitello, se ci si addentra in edifici vetusti. Succede a Daniel Testor Schnell, un cinquantaduenne di Barcellona, proprio all’interno della basilica di Santa Croce. Un peduccio del ‘300 di 40 centimetri si stacca dalla volta, fa un volo di 20 metri, centra  con precisione millimetrica il cranio del malcapitato che stramazza al suolo. Aver esalato l’ultimo respiro fra le sacre spoglie degli immortali non riserverà  allo sventurato la  medesima solenne sepoltura, eppure finisce per accordare alla tragica fatalità un che di grandioso. In fondo, non è da tutti morire d’arte.  Ma noi, che preferiamo vivere, ci stiamo attrezzando: mai più varcare la soglia di un museo o di una chiesa senza un elmetto in testa e una polizza infortuni in tasca.

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Messaggio Da Notaio Gio 19 Lug 2018, 00:47

EDITORIALE ArteIn maggio 2018∙ [LORELLA PAGNUCCO SALVEMINI]

LE ATTIVITÀ CULTURALI? UN VERO ELISIR

E vissero a lungo felici e contenti (di conseguenza, anche sani). Finora, la scienza per il raggiungimento di tale scopo si era limitata a raccomandare gli elementi base del corretto stile di vita: alimentazione equilibrata, almeno 7/8 ore di sonno quotidiane, moderata ma costante attività fisica, vita all’aria aperta. E noi a seguire scrupolosamente le prescrizioni mediche, pensando che bastassero. Oggi, dopo anni di dieta, melatonina, palestra, vacanze negli agriturismi a contatto con una natura incontaminata, illustri studiosi ci vengono a dire che tutte queste fatiche e rinunce sono utili ma insufficienti. Il vero elisir arriva dalle attività culturali. La novità è che non occorre nemmeno essere artisti per trarne beneficio. Il risultato è uguale per tutti: l’arte fa bene alla salute, anzi benissimo. In oggetto non è la collaudata Arteterapia, che serve a placare il male di vivere di pittori, poeti e musicisti, e alla quale ricorrono i medici dell’anima per guarire i disagi emotivi, affettivi, relazionali di individui psichicamente disturbati.

Ci riferiamo a uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Tronheim in Norvegia, che hanno monitorato i comportamenti di 50.000 persone per comprendere il nesso fra piacere estetico e benessere psicofisico. I dati raccolti non danno adito a dubbi: più cultura equivale a più felicità. Chi visita musei e gallerie, chi va a teatro, all’opera, a un concerto vive bene e tanto. Possiede maggior autostima e senso di soddisfazione verso la vita. Accusa, per contro, un livello molto basso di ansia, non sa che cosa sia la depressione.

Dunque, meglio una mostra del Prozac. La salute psicologica che ne deriva contribuisce a tenere in salute anche il corpo. Mens sana in corpore sano: si alzano le difese immunitarie, le capacità di recupero in caso di malattia, si diventa meno vulnerabili agli eventi stressanti.

Insomma, a frequentare l’arte si impara l’arte di vivere.

Sì, ma viene da chiedersi, per restare nell’ambito delle arti figurative, quali autori avranno visto mai le cavie norvegesi per ottenere esiti così sorprendenti: il soave Raffaello, il divino Michelangelo? Lo struggente Picasso del periodo blu? Oppure, avranno posato il loro innocente sguardo sull’amplesso di plastica fra Koons e Cicciolina, o sullo squalo tigre in formaldeide di Hirst?

Che gli scienziati favoriscano cortesemente i nomi: a questo punto, ne va dell’incolumità pubblica.

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Messaggio Da Notaio Sab 10 Nov 2018, 00:14

L'editoriale che vi posto è di un blog d'arte, collezione da Tiffany. Molto interessante per le tematiche che tocca.
Buona lettura.

di Stefano Monti
Tutto ha un prezzo. O almeno dovrebbe. Soprattutto l’arte.

Prima che gli integralisti etici passino all’attacco, è bene chiarire una questione fondamentale: in economia il prezzo assume un valore informativo preziosissimo. All’interno di una singola cifra sono racchiuse informazioni estremamente complesse, che ogni consumatore valuta in modo semi-automatico (se non del tutto inconsapevole) prima di procedere all’acquisto.

La rilevanza informativa del prezzo, tuttavia, viene meno nel momento in cui le “procedure” attraverso le quali tale prezzo viene fissato sfuggono a leggi generali di mercato: tutti sanno che, a parità di domanda, quanto più è raro un prodotto tanto più il suo prezzo tenderà ad aumentare (avete presente i bagarini che vendono i biglietti dei concerti?). Ora, il mondo dell’arte ha una serie di regole che, di fatto, sfuggono a questa logica.

Questa considerazione non è mera accademia: senza una chiara “regola” di determinazione del prezzo non esistono le chiare “informazioni” che il prezzo contiene, e non esistono nemmeno specifiche “strategie” che possono essere attuate per fare in modo che chi produce arte possa “posizionarsi” in una determinata categoria di “mercato”.

Va bene, va bene, l’arte è un mercato particolare e non è una mera catena di produzione. D’accordo. Ma se si venisse a scoprire che, almeno per l’arte contemporanea, contano più le relazioni sociali che “il genio” insito nelle opere? Se si venisse a scoprire che “entrare in confidenza” con un rilevante critico può incidere positivamente sulla carriera di un artista più che la validità della propria ricerca estetica?

I motivi di questo interesse, a ben vedere, sono duplici: da un lato, a livello sistemico, riuscire a stabilire con maggiore precisione quali siano le condizioni perché un artista contemporaneo risulti più apprezzato di un altro permetterebbe di introdurre delle logiche di investimento che andrebbero senza dubbio a creare benefici per il mercato dell’arte, riducendone le opacità sistemiche e migliorando anche la percezione che, soprattutto nel nostro Paese, si ha dello stesso

Dall’altro, però, riuscire a comprendere quali variabili incidano più delle altre sull’esito della carriera di un’artista,  potrebbe aiutare gli stessi artisti a comprendere come meglio specializzarsi e come meglio gestire il proprio tempo.

Per essere più chiari, facciamo un parallelismo con altri lavori professionali: a parità di condizioni (talento, bravura, capacità retorica, ecc.) un avvocato che “lavora” di più rispetto ad un altro tenderà ad avere un maggior numero di successi; tra due junior che lavorano per una KPMG o una Deloitte, chi riesce ad evadere nello stesso tempo, un maggior numero di pratiche tenderà ad essere premiato; tra due spazzini, chi riuscirà a pulire meglio una strada sarà più bravo.

Certo, il discorso è un po’ più complesso, ma questa semplificazione non si discosta molto dalla realtà. Nel campo delle arti “non visuali” la questione diviene meno lineare ma, a parità di talento, il fattore lavoro gioca ancora una propria rilevanza (un ballerino o un musicista classico hanno bisogno di esercitarsi costantemente per diventare più bravi). Nelle arti visive tutto ciò svanisce, o quasi.

E queste condizioni creano terreno fertile per “distorsioni di mercato” che poi, puntualmente, si verificano nella pratica. Riuscire a determinare il prezzo, dunque, di un’opera d’arte contemporanea, e riuscire a motivare la differenza di prezzo che sussiste tra le opere di due artisti su basi “lineari”, non dovrebbe essere, in fondo, impossibile.

Perché Richter vale più di Botto&Bruno? Quali differenze determinano la quotazione di un’opera di Bill Viola da un’opera di Doug Aitken o di Douglas Gordon? Si possono avanzare tantissime ipotesi ma sinora, qualunque critico si è ben guardato dal fornire una interpretazione ex-ante di questi differenziali. Ci saranno milioni di persone, ora, pronte a spiegare perché questo differenziale è così. Ma col senno di poi siamo tutti più bravi.

In fondo, guardare alle determinanti del prezzo e cercare di “mettere ordine” in esse, non è nient’altro che un tentativo di risposta, attraverso altri strumenti, ad una domanda che riecheggia sempre tra i “non iniziati”: perché questa cosa dovrebbe essere “arte”? Perché dovrebbe “valere” così tanto?

Se riuscissimo ad evidenziare tali meccanismi di formazione del prezzo, magari riusciremmo a spiegare anche in modo semplice (“a parità di fattori, la spiegazione più semplice è da preferire, “diceva Occam) perché l’arte contemporanea dovrebbe essere parte della vita delle persone che, al momento, non la capiscono o meglio non la riconoscono come un’espressione della loro cultura.

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Messaggio Da Notaio Mar 18 Dic 2018, 00:40

EDITORIALE ArteIn novembre 2018∙ [LORELLA PAGNUCCO SALVEMINI]

L’ARTE COME CURA DELLA DEPRESSIONE

Compra che ti passa

Homo sine pecunia imago mortis, dicevano i latini. In effetti, in questo autunno caldo, con l’incubo dello spread in vertiginosa salita, sempre meno denaro in circolazione e nelle tasche, abbiamo la sensazione che il terreno stia sprofondando sotto i piedi, ci sentiamo soffocare, diventiamo pavidi e insicuri come al cospetto della morte. Anche se proviamo a consolarci con il credo cattolico-rinunciatario che i soldi non procurino la felicità, tutto quello che viene in mente è: figurarsi la miseria. Con buona pace di Francesco, il più pauperista tra gli ultimi pontefici.

Scrive John Scott, psichiatra, che proprio: “in momenti come questi si instaura un circuito della paura inconscio e incontrollabile. Un fenomeno che possiamo addirittura vedere fisicamente con una risonanza magnetica cerebrale. L’emotività che prevale sulla razionalità spinge a tirarci indietro”. Gli fa eco Richard Peterson, neuropsichiatra: “a frenare l’economia non è solo la psicologia dei mercati entrata in una spirale negativa, ma anche lo stress prolungato di chi vede accavallarsi brutte notizie”. E la depressione che ne consegue può assumere perfino le caratteristiche di una patologia contagiosa, come il morbillo, o la scarlattina. Allora, ognuno tenta di guarire a proprio modo. Chi con il prozac, che (almeno per ora) passa la mutua; chi con la cioccolata a 3X2 nei discount, chi con una bella passeggiata, che al massimo consumerà leggermente le suole delle scarpe. Se, poi, abbiamo la fortuna di amare l’arte, siamo già dei privilegiati. Il suo potere terapeutico è scientificamente accertato. Il benessere psicofisico che provoca apre la mente e stimola le iniziative. La cura è gradevole, basta andare in giro per mostre e musei (in alcuni giorni sono previsti ingressi omaggio per tutti). Per chi dispone di un po’ di mezzi, e non si è fatto ancora sotterrare dal pessimismo dilagante, questo è proprio il momento giusto per acquistare opere d’arte. Adesso, si compra piuttosto bene pressoché ovunque. In generale, gallerie, case d’asta, fiere sono diventate più selettive nella qualità delle offerte. Non si accontentano solo delle firme. Oggi, non basta più proporre un Picasso, ci vuole un bel Picasso.

Inoltre, c’è da dire che non si è mai visto un collezionista povero. Al contrario, incontriamo tanti ex poveri diventati ricchi grazie a una collezione ben assortita. Hanno cominciato scegliendo una grafica, un disegno, un piccolo olio. Nel tempo, hanno affinato gusto, fiuto e rimpinguato il portafoglio. Si sono potuti permettere man mano autori di maggior valore. Ora, si ritrovano con milioni alle pareti. Fra le tante strampalate ricette anticrisi, eccone una che vale la pena considerare.

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Messaggio Da Notaio Lun 22 Apr 2019, 23:21

EDITORIALE ArteInworld aprile 2019 di Carlo Vanoni. Sono d'accordo con Carletto.


Perché la rissa fa sempre audience.

Voglio difendere il Vittorio nazionale. Non che ne abbia bisogno, s’intende, ma oggi mi sembra giusto stare dalla sua parte. E ora vi spiego perché.

Perché litigare stanca. Litigare in televisione è davvero stancante. Meglio sarebbe leggere Pavese e Montale, parlare di Caravaggio e Van Gogh, ma la gente, la gente vogliono che si litighi (lo so, si scrive al singolare, ma così è più bello). Sennò si annoia.

Il punto è un altro: se in una trasmissione inviti uno come Sgarbi, lo fai perché sai che poi litigherà con qualcuno, sai che a breve darà del coglione o della mignotta a secondo di chi avrà di fronte. A quel punto, però, tu conduttore, non lo puoi richiamare perché si è incazzato, perché sarebbe come riprendere Rocco Siffredi se parla di sesso, oppure Vissani se nomina la bistecca.

Se chiami certa gente, è perché vuoi che parlino di quello.

Direte: perché non invitare Sgarbi e fargli parlare d’arte? Risposta: perché pochissimi se lo filerebbero. Faccio degli esempi: su YouTube il video in cui il Vittorio nazionale racconta l’arte, fa 9.646 visualizzazioni, quello in cui litiga con la Mussolini 1 milione; quello in cui parla di Michelangelo e Caravaggio raggiunge i 5.134, quello in cui se la prende con Benigni, 2,2 milioni; quello dove spiega il Cenacolo di Leonardo 65.724 visualizzazioni, quello in cui litiga con un tale che si chiama Barbacetto, 4,2 milioni. Sgarbi che si scatena sull’arte italiana: 7.365; Sgarbi che si scontra con Emma Garrone e Massimo Giletti: 2 milioni.

Se avete tempo da perdere divertitevi e conteggiate tutti gli altri.

Di chi è la colpa? Del conduttore o di Vittorio Sgarbi? Di nessuno dei due. La colpa, da quando hanno inventato il telecomando, è sempre e solo di chi guarda.

Sono convinto che preferirebbe cento volte andare su Rai Uno a parlare di Lorenzo Monaco, anziché litigare. Preferirebbe leggere Leopardi e Cardarelli, piuttosto di vomitare bile a chi ha di fronte. Il problema è che non interesserebbe a nessuno. Soprattutto a tutta quella gente che dice “quando parla d’arte lo ascolterei ore, ma quando litiga cambio canale”. Balle. Sono loro i primi che cambierebbero canale qualora parlasse d’arte.

Ma a parlare, in televisione, sono i numeri. La gente vogliono (sempre al plurale) sangue e violenza e non panneggi e chiaroscuri rinascimentali.

Quindi tutta la mia solidarietà a Vittorio Sgarbi, costretto a insultare e a inveire contro chiunque non per la gloria, ma per gli ascolti e quindi per noialtri.

E pensare che potrebbe parlarci di Roberto Longhi…


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Messaggio Da ciccina783 Mer 24 Apr 2019, 21:05

Concordo anche io.
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Messaggio Da Notaio Sab 05 Dic 2020, 17:09

Vi posto il primo editoriale della nuova rivista fondata da Lorella Pagnucco Salvemini,  AW ArtMag.
Tanti auguri alla brava direttrice per la sua nuova avventura.


"Immaginando la rivista che non c'era"

Mala tempora currunt. Sì, stiamo vivendo tempi difficili. Lo sono per la salute fisica e psichica, per l’economia, per la tenuta sociale. È crisi planetaria. In un mondo che non è più lo stesso, che cambia e non sappiamo come, per non soccombere abbiamo deciso di cambiare noi per primi. Anziché lasciarci sopraffare dalla paura che immobilizza, abbiamo provato a reagire inseguendo un sogno. Affidandoci alla forza travolgente dei sogni. Ci siamo messi a immaginare la rivista d’arte che non c’era, quella che ci sarebbe piaciuto avere fra le mani, da leggere, sfogliare, accarezzare, annusare, perfino; quella che ci potesse sorprendere e far pensare, che, possibilmente, fosse utile e anche bella. Le nostre parole guida sono state - e sono - vita, rinascita, futuro. Così, giorno dopo giorno, idea dopo idea, con il contributo di collaboratori entusiasti e con la fattiva generosità di amici artisti e galleristi, è nata AW ArtMag. Nel sottotitolo, la dichiarazione di intenti: Art Who What Where When Why. Abbiamo preso spunto dalle cinque W del giornalismo inglese (chi che cosa dove quando perché) per ricordare a noi stessi di comunicare sempre in una maniera chiara, diretta, semplice ed esaustiva. Per stare alla larga dall’autocompiacimento, dalla retorica, dalla vacuità fatta di frasi altisonanti quanto vuote di tanti – troppi - critici, che meno si fanno capire e più sembrano contenti.

A ogni W corrispondono all’interno altrettante rubriche con lo stesso nome per orientare i lettori verso una rapida ricerca delle informazioni. Ovviamente, abbiamo inserito diverse altre sezioni - per esempio: Spotlight per il servizio di copertina, Coffee break per l’intervista, Topic per il tema di attualità - espresse direttamente in lingua inglese: nessuna modaiola concessione all’esterofilia, soltanto si tratta di termini ormai entrati talmente nel linguaggio comune che ci sarebbe parso un esercizio di pedanteria tradurre. Del resto, AW ArtMag nasce con una vocazione internazionale nei contenuti, nella diffusione nelle edicole straniere, nel bilinguismo dei testi.

Una rivista senza frontiere, dunque - la cultura non può né deve averne - ma dal cuore profondamente, orgogliosamente italiano. Latino, anzi, come sottolineano le pagine di Focus e (parafrasando Cartesio) di Dubito, ergo cogito.

Certo, le ambizioni sono elevate, il rischio di una nuova avventura editoriale in un periodo di pandemia egualmente elevato. Ci sentiamo un po’ visionari, un po’ folli. Per Erasmo da Rotterdam, le idee migliori vengono quando ci si trova in quello stato. Speriamo proprio che abbia ragione.

https://www.awartmag.com/it/articolo/editoriale/immaginando-la-rivista-che-non-cera

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Messaggio Da Notaio Gio 14 Gen 2021, 00:03

Quella che vi posto è più che un editoriale, un opinione di un analista del giornale dell'arte, incentrato sull'attuale crisi del mercato dell'arte e sulle conseguenze che ne derivano in particolare per le case d'asta, che come ho scritto anche in altri articolo, stanno progressivamente trasformandosi e diventando dei veri e propri mercanti on line.
Buona lettura

Bruno Muheim, da Il Giornale dell'Arte numero 413, gennaio 2021

Il Covid-19 è un’opportunità per il mercato dell'arte
La pandemia sta accelerando un processo che era già in atto, ma con quali conseguenze.

Non vogliamo fare un corso di economia marxista-leninista né dimostrare che il grande capitale uscirà vincente dalla crisi Covid-19 e che solo il proletariato ne pagherà il conto, ma un fondo di verità c’è. Certo il Covid-19 non sta da sé ristrutturando pesantemente il mercato dell’arte, ma sta solamente accelerando un processo che era già in atto. Da un lato aspettiamo da anni l’esplosione della bolla speculativa di una parte del mercato dell’arte, dall’altro sarebbe utile ricordare alcune considerazioni sui risultati degli ultimi anni.

Alcuni sostengono che il mercato dell’arte vada bene grazie ai risultati eccellenti di alcuni dipartimenti, altri dicono che sta molto male malgrado alcune eccezioni. La solita storia del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Iniziamo prima con il mondo delle aste, perché può darsi che sarà quello che subirà le maggiori trasformazioni.

Ci sono due tipi di case d’asta: quelle generaliste e quelle specializzate. Quest’ultime subiranno poche trasformazioni e porteranno avanti la loro attività sperando di non essere in un campo sinistrato come quello dei francobolli. È interessante il caso delle grandi case d’asta cinesi che sono quasi tutte specializzate al massimo in tre settori, come per esempio gioielli, arti decorative cinesi e arte contemporanea, e che siccome la ripresa in Cina è attualmente molto forte recupereranno immediatamente.

Il caso di Christie’s e Sotheby’s è molto diverso. Entrambe basano la loro attività e i loro successi passati su un posizionamento planetario delle loro attività e su un campo di competenza su quasi qualsiasi tipologia di bene. Attualmente l’Europa e gli Stati Uniti sono colpiti al massimo dalla pandemia ed è inutile dire che le vendite online rappresentano il futuro e che possono equilibrare i conti. Certo, sono una risposta interessante all’incapacità di proseguire con le aste classiche con mostre aperte al pubblico, ma in nessun caso, per alcuni settori tradizionali, possono essere considerate come una panacea.

Sfortunatamente le aste di argenti, porcellana e arredi in generale sono le più costose dal punto di vista della manutenzione e nello stesso tempo riguardano mercati profondamenti depressi, senza rinnovo di una clientela già molto anziana e quindi con pochissimo futuro. È vero che in certi Paesi, come per esempio l’Italia, resistono meglio, ma sono casi isolati. È dunque grande la tentazione, sia per Christie’s sia per Sotheby’s, di chiudere alcuni reparti o limitare al massimo la loro attività.

Già la quasi sparizione dei cataloghi cartacei ha permesso una forte diminuzione dei costi, ma gli stipendi di un esperto, di un catalogatore, di un amministratore e di un magazziniere rappresentano una voragine, senza parlare dei costi d’uso di uffici per settori che monitorano poche centinaia di migliaia di euro di commissioni pagate all’anno.

Non dimentichiamo che la crisi di quest’anno è l’ultima di una lunga serie che colpisce il mercato dell’arte e la cui ragione fondamentale è il totale cambiamento del gusto dei collezionisti. In poche parole, basta zuppiere d’argento, piatti di Meissen, invece viva la fotografia e l’arte contemporanea. Dunque, il mantenimento di certi dipartimenti è altamente illusorio, senza dimenticare che in questi dieci ultimi anni quasi la metà dello staff delle due case d’asta è già stata licenziata, rendendo difficili altri tagli.

A Christie’s e Sotheby’s è totalmente vietato mettersi d’accordo su una politica comune: è costato 10 mesi di galera ad Alfred Taubman, il proprietario di Sotheby’s (nel 2002 è stato condannato per un sistema di fissazione dei prezzi che ha coinvolto le due case d’aste, Ndr). Tra le due case d’asta si assisterà dunque a una partita molto serrata per chiudere certi reparti senza che il competitore ne faccia un argomento di marketing.

Christie’s, per esempio, ha chiuso il suo reparto di arte svizzera e il mese dopo Sotheby’s ha giocato questa carta per ottenere un quadro molto importante da un collezionista corteggiato da entrambe. Sono considerazioni puramente di redditività, ma dietro si nascondono drammi umani. Delle migliaia di persone licenziate, quante pensano di trovare un nuovo lavoro?

Le possibilità che ha un esperto di ceramica tedesca del Settecento di trovare un lavoro sono quasi nulle: nessun antiquario o casa d’aste assume nuovo personale e il mondo museale accetta solo persone che hanno un cursus universitario specifico e diverso rispetto alla formazione sul terreno di un esperto proveniente dal mercato. Un banchiere o un benzinaio licenziati per restrizioni dell’attività troveranno un’altra banca o un’altra stazione di servizio, ma il nostro esperto può solo fare la fame.

Non dimentichiamo i drammi umani di persone che hanno dedicato la loro vita a una ricerca intellettuale rigorosa e che si trovano senza nessuna possibilità di guadagno e ancora meno di esercitare in futuro la loro attività. Inoltre la maggior parte delle persone interessate hanno contratti di lavoro in Paesi anglosassoni, che sono estremamente poco generosi in questi casi. La situazione degli antiquari e delle gallerie dipende totalmente dal loro campo d’attività, proprio come per le case d’asta. L’antiquario di arredi d’alta epoca può solo chiudere e vendere l’attività all’ennesimo negozio di moda.

Per i colossi dell’arte contemporanea con un’espansione ipertrofica in questi ultimi anni, il Covid-19 è un’eccellente opportunità per potare un organigramma sovrabbondante. Ancora una volta si tratterà di persone che non potranno trovare un altro lavoro. Certamente gli sfarzi passati e insopportabili di un certo mercato dell’arte saranno un ricordo piacevolmente lontano, ma le vite massacrate di tante persone saranno sempre presenti delle nostre menti.

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Messaggio Da gerardo Gio 14 Gen 2021, 07:38

Sono abbastanza d'accordo con l'articolista,benchè sia difficile pensare che la bellezza dell'arte,che ha contraddistinto i secoli passati,non possa riuscire a creare nuovi proseliti nei decenni futuri.
Vero è che i francobolli siano ormai destinati solo ad abitanti delle RSA,ma un bell'avorio,dei favolosi argenti firmati,preziose giade,bronzi di stampo francese(Sevres e Limoges),ho la sensazione che scaveranno nella dura roccia delle giovanili resistenze,che ad oggi sembrano attratte solo da telefoni ed altra sofisticata tecnologia.
Almeno me lo auguro.
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Messaggio Da Notaio Gio 14 Gen 2021, 15:02

Le case d'asta sono come i commercianti, seguono e trattano quello che i clienti richiedono.
L'articolo non tratta il mercato dei tappeti, dove spesso si vedono passare in asta dei veri e propri capolavori a cifre inferiori del 70-80 % rispetto alle richieste di 20 o 30 anni fa. Si comprano capolavori a 1000-2000 euro.
I gusti stanno cambiando e dentro le abitazioni si vedono sempre meno tappeti, figuriamoci quelli persiani, magari di pregio in seta.
Ci sarebbe da parlarne per ore, ma questa è la realtà, chissà se tornerà mai il piacere di camminare su un tappeto come un Nain, un Kum, un Tabriz o un Isfahan, a discapito di un bel niente che non costa nulla e che ti permette di passare l'aspirapolvere velocemente, senza spostare il tappeto.
Questo è quello che pensa mio figlio, giusto per non andare lontano, in camera sua niente tappeti.
Quindi caro Gerry, la vedo grigia per certi segmenti dell'arte. Mettiamoci a collezionare telefoni e Tablet, senza accenderli però e poi li rivendiamo tra 20 o 30 anni.
Guarda cosa sta succedendo con il mercato dei vecchi computer degli anni 80 che vanno in asta, cifre da paura, a partire dal Commodore 64.
Se penso che l'avevo scambiato per un fotocopiatore 30 anni fa.
I tempi cambiano...

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arte - GLI EDITORIALI DELLE VARIE RIVISTE D'ARTE - Pagina 3 Empty Re: GLI EDITORIALI DELLE VARIE RIVISTE D'ARTE

Messaggio Da Notaio Dom 15 Ago 2021, 17:06

Articolo tratto dal giornale dell'arte del marzo 1989.

A proposito di Brexit.

Da più di un quarto di secolo vado regolarmente a Londra e mi ci trattengo a lungo. Vi ho imparato non poche cose, vi ho conosciuto molte persone e mi ci sono sentito spesso a casa, se a casa ci si può sentire, nel senso che intendono i latini, in quella bizzarra, meravigliosa insula.
Un tempo questa peculiare insularità mi infastidiva assai e sovente me ne lamentavo con un amico indigeno: «Non c'è nulla di strano, qui siamo tutti stranieri, tutti isolati, non ci capiamo né forse vogliamo capirci più dello stretto necessario».
L'insularità, però, sembrava andare per mano al senso di equità, di pacifica convivenza, di tolleranza e dunque di casa, di home. [...]
Non è d'altronde compito di uno dei grandi musei europei (di nessun museo, del resto) produrre denaro come se fosse una fabbrica: esso rende altri frutti che non possono e non debbono mai misurarsi conti alla mano.
Sono le opere d'arte a fare la gloria di una nazione e non i dividendi bancari. Attirare dunque un maggior numero di visitatori non appare uno scopo encomiabile dato che non si ha a che fare con uno stadio o con una balera.

I musei sono fatti per custodire e per conservare il più a lungo possibile quei grandi malati, spesso incurabili, che sono i capolavori d'arte. Le visite sono consentite, talvolta augurabili, spesso non indispensabili.
L'eccesso di pubblico nuoce alla igiene mentale del pubblico stesso e, ciò che più duole, alla fisiologia delle opere d'arte. [...] Non passerebbe ad alcuno per la testa di chiedere a un amministratore e non a uno scienziato di dirigere un ospedale in quanto in esso si tratta di vite umane. Ma i musei sono ospedali eccellenti dove si curano vite ancora più preziose di quelle mortali in quanto esse sono l'essenza rarefatta di ciò che l'uomo ha creato lungo interi secoli.
Solo un filisteo può volere fare conti con la poesia o con l'arte: l'impalpabile sostanza che risiede per miracolo nel corpo fragilissimo di un oggetto fisico è il distillato poetico, inafferrabile, sublime, di un essere umano.

Editoriale di Alvar González-Palacios in "Il Giornale dell'Arte-, n. 65, marzo 1989

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Messaggio Da Notaio Dom 15 Ago 2021, 17:12

Quanto sembra attuale oggi quanto scritto 32 anni fa.....

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Messaggio Da Notaio Dom 22 Ago 2021, 11:32

Editoriale tratto dalla rivista HESTETIKA luglio 2019.

CREDO CHE AVERE LA TERRA E NON ROVINARLA SIA LA PIÙ BELLA FORMA D’ARTE CHE SI POSSA DESIDERARE

Qualche giorno fa ero in giro a inquinare Milano. Ero con la mia auto, un diesel. Sarei potuto uscire prendendo i mezzi ma io sono pigro e comodo. Sono andato a pranzare in un locale del centro.  Plastica à go go: piatti, forchette, bottiglietta d’acqua. Poi sono entrato in un negozio, ho comprato un regalo: l’imballo di cartone, la plastica che lo contiene, la carta che lo confeziona. Tornando a piedi al parcheggio osservavo la mia città e pensavo (“cosa rara”, direte!): è ordinata, pulita, linda, un po’ caotica ma piacevole. Sono in una bella zona. Una di quelle eleganti: negozi, ristoranti, bar, locali, consumismo per tutti i gusti e tutte le tasche. Guardando il mondo da questo osservatorio privilegiato, concludo che posso continuare a inquinare, in fondo non faccio grossi danni. Cosa vuoi che siano un po’ di polveri sottili, una decina di chili di plastica prodotta al mese e altrettanti di carta? Tanto io riciclo! Non butto le cartacce per strada, né i mozziconi di sigaretta per terra (anche perché non fumo). Io sono attento a differenziare l’umido e persino a risparmiare acqua. Ma basta? Forse no. Anzi, sicuramente  no.  Serve  la  mente.  Per  salvare  il  mondo  dalla  nostra  distruzione  non  bastano  dei  gesti.  Sono  utili, senza dubbio, ma serve una nuova mentalità. Una rivoluzione morale e sociale.

LA  PROVOCAZIONE DI QUESTO NUOVO VOLUME DI HESTETIKA È: PUÒ L’ARTE SALVARE IL MONDO? Io sono sicuro di sì. Chi ama l’arte non può non amare il mondo e i suoi abitanti. È una conseguenza. La bellezza ha la  sua  massima  espressione  nella  natura e  nel  rispetto  dell’uomo e  delle  sue  infinite  e  fantastiche  diversità,  e  l’arte è bellezza creativa e idea allo stato puro.  Educare all’arte, stimolare l’arte  nelle sue infinite sfaccettature è creare consapevolezza e rispetto per il mondo. Noi possiamo ormai fare ben poco. Abbiamo già distrutto tutto. Possiamo solo aiutare le nuove generazioni a non commettere i nostri sbagli, a non essere pigri e comodi. Possiamo non accontentarci di quello che facciamo.  
Il  mondo  ha  bisogno  di  arte  per  non  morire.

L’uomo  ha  bisogno  di  arte  per  non  morire.
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Messaggio Da Notaio Ven 23 Set 2022, 00:10

Editoriale arte mondadori, maggio 2022.
Si parla del mercato dell'arte.

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