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Il corpus delle leggi sull’arte fermo all’epoca fascista. Parola di Giuseppe Iannaccone

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Il corpus delle leggi sull’arte fermo all’epoca fascista. Parola di Giuseppe Iannaccone Empty Il corpus delle leggi sull’arte fermo all’epoca fascista. Parola di Giuseppe Iannaccone

Messaggio Da Notaio Mar 30 Gen 2018, 00:00

Quest'articolo è ripreso da arteconomy, riguarda un'intervista ad un grande collezionista il cui nome è Giuseppe Iannaccone. Vi sono alcune interessanti riflessioni sul mondo dell'arte, su come si sia trasformato il mondo del collezionismo, fino agli aspetti del diritto e della fiscalità.
Il panorama è desolante, ma gli artisti che questo collezionista promette di seguire lo sono ancora di più, meglio collezionare francobolli.
E parecchi degli artisti che lui ha comprato anni addietro pagandoli cifre elevate, oggi non valgono 1/5 del valore di costo iniziale. Insomma.
Buona lettura.

   

«Con gli anni il desiderio del collezionista di cogliere nelle opere contemporanee le stesse sensazioni trovate nei realisti ed espressionisti italiani del 900 è divenuto quasi una sfida”. L'avvocato Giuseppe Iannaccone è un collezionista di lungo corso - nei primi anni ‘90 scopre la passione per l'arte iniziando a collezionare opere di artisti italiani degli anni fra le due guerre - in grado di cogliere i cambiamenti di un sistema dell'arte in veloce evoluzione. Colpa e merito del web.

Avvocato cos'è cambiato da quando ha iniziato oramai quasi 30 anni fa a collezionare?
La mia collezione è fatta da due periodi: il primo riguarda l'arte del 900 e gli anni ‘30 tra le due guerre e ora quella di arte contemporanea. La collezione tra le due guerre è composta essenzialmente di arte italiana. Negli anni ho osservato com'è cambiato il mercato di queste opere: quando ho iniziato avevano quotazioni molte elevate. Io cercavo opere storiche e col passar degli anni e l'affermazione di internet, le quotazioni degli artisti di rilievo internazionale e quelle degli autori nazionali si sono differenziate, riducendo sensibilmente i valori di questi ultimi sempre più bassi, mentre per gli artisti con visibilità internazionale le quotazioni sono progressivamente cresciute. Attribuisco a internet l'accelerazione delle conoscenze. Per questo oggi è più facile che trovi mercato un giovane artista conosciuto in tutto il mondo rispetto a un grande maestro degli anni ‘30 noto solo in Italia.

Effetto web insomma. Ma non basta il web a costruire la credibilità di un artista, ci vogliono gli studi e le istituzioni ad accreditarlo, è d'accordo?
Infatti le differenze sono cresciute anche perché i musei italiani coltivano poco la ricerca nella storia dell'arte italiana dell'ultimo secolo. A questi artisti è mancato un palcoscenico che li facesse conoscere all'estero e progredire nei valori. Per esempio Felice Casorati era partito con quotazioni stellari ora è precipitato, mentre Fontana, Manzoni e Castellani sono decollati perché conosciuti all'estero. Del resto sono convinto che non esista una graduatoria degli artisti: ci sono gli autori che hanno segnato la storia dell'arte e quelli che non vi sono entrati. Mi piacerebbe che grandi artisti come Mafai, Birolli e Scipione, che certamente hanno un ruolo di rilievo nella storia dell'arte, avessero avuto la stessa ribalta di un Manzoni, ma questo non è possibile perché non ci sono stati musei che hanno dato loro adeguata visibilità.
Mario Mafai, Tramonto sul Lungotevere,1929, olio su compensato, cm.41,3x50,8. Courtesy, Collezione Giuseppe Iannaccone Milano

Nel 2017 La Triennale di Milano ha dedicato alla sua collezione la mostra “Italia 1920-1945. Una nuova figurazione e il racconto del sé”, seguita da “Italia 1920 - 1945. Da De Pisis a Guttuso. Da Sassu a Vedova” alla Fondazione Credito Bergamasco. Effetti sul mercato?
Con la mostra in Triennale della collezione degli anni 30 ho visto il risveglio del mercato di un artista come Arnaldo Badodi - artista che ha prodotto poco ed è morto a 30 anni in guerra in Russia, scoperto da me e tornato all'attenzione della critica dopo la pubblicazione del libro sulla mia collezione-, esitato a prezzi molto superiori a quelli che correvano molti mesi prima. Dal prossimo 18 febbraio e fino al 25 giugno la Fondazione Prada presenta “Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-1943”, a cura di Germano Celant, ed esplora il sistema dell'arte e della cultura in Italia tra le due guerre mondiali. Sono davvero grato come appassionato d'arte alla Fondazione Prada per questa mostra , ho prestato 9 opere e mi aspetto ancora un sussulto di attenzione. Meno male che ci sono i privati! La mia collezione andrà ad ottobre a Londra al Museo Estorick in coincidenza con la fiera d'arte Frieze e Frieze Master: porto una cinquantina di pezzi esposti già in Triennale, probabile titolo: “Italia 1920-1945. Capolavori dalla Collezione Giuseppe Iannaccone”. Tutto questo spero contribuisca a creare maggiore conoscenza su questi artisti e quando si interrogherà internet grazie alla mostra all'Estorick le informazioni salteranno fuori. Mi auguro che dopo Londra e Prada qualche museo italiano ospiti gli anni ‘30 per raccontare la nostra storia dell'arte.

Come mai sull'arte tra le due guerre c'è poca attenzione?
Il mercato oggi è cambiato, negli anni ’90 non c'era grande conoscenza della qualità storica degli artisti degli anni ‘30 e solo i mercanti più avveduti come Giulio Tega e Claudia Gianferrari li conoscevano bene. Con gli altri spesso dovevo spiegare cosa cercavo: la mia era una ricerca solitaria di qualità e poi c'erano le aste, un punto di riferimento allora, e il fatto che ci fossero dei valori apprezzabili non era un fatto negativo neanche per l'acquirente.

Perché?
Chi ha opere di grande qualità e le vuole vendere le mette sul mercato solo se potrà prospettarsi una remunerazione adeguata. E per questi autori, come ad esempio Mafai accadeva più spesso di remunerazioni anche oltre i 50-70 milioni di lire qualche anno fa piuttosto che ora dove al massimo toccano i 10mila euro. A questi valori opere di Scipione, Guttuso e Pirandello uno se lo tiene in casa tutta la vita. Abbiamo assistito alla distruzione del mercato di questi autori.


Qualche errore?
L'attività di ricerca è propria di un museo, in assenza sono i privati a provare a ricostruire periodi della storia dell'arte a beneficio della collettività. Aver raccolto e raccontato l'emotività tra le due guerre nasce dall'amore per l'arte e poi può determinare un risveglio del mercato, ma come abbiamo visto le cose non sono strettamente collegate. Preferisco un museo che esponga la storia dell'arte italiana del primo 900 mostrando opere reperibili in collezioni private, piuttosto che musei che rappresentano Chagall attraverso le opere minori facendomi vedere un surrogato. Invece i nostri musei, che coltivano arte storica, sono molto più allettati all'idea di esporre un grande artista internazionale del passato che non coltivare la storia dell'arte italiana, faccio un'eccezione per il Mart di Rovereto, sempre attento alla storia dell'arte del secolo passato.

E poi nel 2000 scopre l'arte del presente, allarga i suoi interessi all'arte contemporanea e si dedica alla ricerca di giovani talenti, perché?
Cambia tutto, entriamo nell'era di internet, per conquistare un giovane artista un collezionista con possibilità contenute deve comprare le sue opere all'inizio della sua carriera. Le opere di Wangechi Mutu o di Michaël Borremans le ho prese una decina di anni fa, oggi non potrei permettermele.

Come si fa ad arrivare per tempo?
Bisogna studiare più del passato, la rapidità con cui un artista viene conosciuto a livello internazionale è eccezionale: bastano una o due mostre pubbliche e il mondo scopre chi sei. Tra il web e le grandi fiere l'eco è immediata.

Nella sua ricerca a livello mondiale le capita di incrociare gli artisti italiani?
Gli artisti italiani sono più sfortunati, una vera ricerca su di loro si scontra con le poche gallerie che in Italia fanno ricerca. E poi esiste la difficoltà dei musei di arte contemporanea, già pochi, di solito non lavorano con i giovani artisti, Milano neanche ce l'ha un museo di arte contemporanea. Così i giovani artisti italiani sono fortemente svantaggiati rispetto ai colleghi stranieri. Ho scoperto nel 2006 alla Tate di Londra l'indiano Raqib Shaw, classe 1974, quando aveva 32 anni, scoprire un artista italiano in un nostro museo pubblico a quell'età è impensabile. Nessuno dei nostri musei si espone a rischi.


Come deve ricercare oggi un collezionista?
La ricerca del collezionista deve esser meticolosa, visitare gli studi e gli spazi no profit. Ho avviato il progetto “IN PRATICA” dedicato a mostre di giovani artisti come Davide Monaldi, Luca De Leva, Andrea Romano, Beatrice Marchi, che devono confrontarsi con le diverse anime della collezione in uno spazio, quello dello studio legale, in cui vengono allestite le opere. Così mi sforzo ogni sei mesi di dare un palcoscenico a giovani artisti. Questo mi dà soddisfazione, il primo artista esposto nel 2015 è stato Monaldi che ha poi vinto nel 2017 l'X TALENT PRIZE al Macro di Roma con l'opera esposta nel mio studio. Spero così che qualcuno si accorga di loro. Anche altri hanno avuto successo e sono finiti in gallerie importanti come Luca De Leva, il quale, dopo la mostra nel mio studio, è stato invitato alCastello di Rivoli e a Beatrice Marchi auguro lo stesso successo.

Avrà sicuramente letto dell'ipotesi di introdurre il capital gain sulle opere vendute dai privati, proposta in Manovra. Cosa ne pensa?
Non solo non viene riconosciuto l'operato di noi collezionisti ma ci vogliono anche massacrare con il capital gain: così distruggeranno il mercato dell'arte italiana. Chi metterà più sul mercato un capolavoro quando, oltre a correre il rischio della penalizzazione dell'arte in Italia con la notifica, dovrà pure pagare una tassa su un “non reddito” (l'arte non produce reddito per un collezionista)? È giusto che le imposte gravino su chi compra e vende per mestiere, ma non sul collezionista. Se un cittadino acquista un immobile, al di là delle finalità speculative, e così dopo 5 anni lo rivende non paga le tasse sulla rivalutazione, mentre se compra un quadro e dopo qualche anno lo vende ad un valore maggiore deve pagare le tasse. Siamo al paradosso! In Italia si vuole penalizzare la cultura.

L'Agenzia delle Entrate ha aperto un tavolo per discutere sull'arte. Che ne pensa?
Dovremmo allinearci alle normative internazionali per le leggi che penalizzano le opere storiche con la notifica: lo Stato se notifica un'opera, la deve acquistare, altrimenti la deve lasciare uscire dai confini nazionali. L'Italia che blocca e non compra è l'unico stato in Europa a farlo. E poi le opere degli artisti italiani che vengono notificate perdono valore; è come voler penalizzare i più grandi artisti, ecco perché alla fine finiscono nei caveau e nessuno pensa più ad esporli, infatti anche la loro esibizione pubblica li pone a rischio di notifica.


Il diritto vigente non sembra comprendere l'importanza della circolazione dell'arte?
Non c'è continuità di pensiero nel dicastero dei beni culturali: qualcuno pensa in un arco temporale legislativo e poi quando cambia il governo chi arriva ricomincia tutto daccapo. A fare le regole sono state le leggi fasciste e tanti decenni di democrazia non hanno rinnovato il corpus di leggi che organizza l'arte. L'unica legge organica resta quella fascista, destra e sinistra non hanno lavorato perché la cultura e l'arte non sono in cima ai pensieri di chi ci governa. Allora sarebbe utile dare spazio ai privati che vogliono mettersi in discussione al servizio dell'arte come fa Prada, l'Hangar Bicocca, Trussardi, insomma i grandi collezionisti.

Progetti?
Sarebbe bello ritrovarci tra noi collezionisti e fare cose insieme per dare di più alla collettività. Tra i sogni, ci sono mille spazi pubblici abbandonati. Basterebbe affidarli a chi li utilizza per finalità pubbliche come mostre per giovani artisti italiani e si eviterebbe di mandare in malora edifici sfruttando l'energia e le buone volontà dei privati.

Pensa al passaggio generazionale?
Con il passare degli anni è inevitabile.


Link dell'articolo
http://www.ilsole24ore.com/art/arteconomy/2018-01-22/il-corpus-leggi-sull-arte-fermo-all-epoca-fascista-parola-giuseppe-iannaccone-172109.shtml?uuid=AE7vKsmD&refresh_ce=1
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