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La banca Intesa Sanpaolo rivaluta l'arte nel suo bilancio. Aggiornati i valori di mercato della sua collezione d’arte.

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La banca Intesa Sanpaolo rivaluta l'arte nel suo bilancio. Aggiornati i valori di mercato della sua collezione d’arte. Empty La banca Intesa Sanpaolo rivaluta l'arte nel suo bilancio. Aggiornati i valori di mercato della sua collezione d’arte.

Messaggio Da Notaio Dom 06 Gen 2019, 11:21

In rete si trova questa notizia davvero importante che vi voglio presentare.
Il motivo è questo:
Una rivoluzione silenziosa si è compiuta, nel mercato dell’arte, con l’operazione condotta da Intesa Sanpaolo, in seguito alla quale il meglio del suo (ricchissimo) patrimonio artistico è entrato a far parte delle attività strutturali della banca. A partire dal bilancio al 31 dicembre 2017, il valore delle opere d’arte più preziose delle sue collezioni, sul piano culturale ed economico, è stato rideterminato a fair value. Usciti dal limbo dei «beni rifugio», o comunque dal ruolo subalterno vissuto sinora, questi beni artistici ora fanno parte a tutti gli effetti, e con l’identica dignità degli altri asset, del patrimonio del gruppo.

Eccovi l'articolo buona lettura.
L’ultimo bilancio di una delle principali banche europee legittima i valori di mercato delle opere d’arte finora considerate in posizione subordinata rispetto ad altri beni patrimoniali. Per la prima volta Intesa Sanpaolo ha infatti aggiornato a valori correnti di mercato (fair value) la sua bellissima collezione d’arte. Il valore attribuito alle 3.500 opere top (su un patrimonio complessivo di 30mila) ammonta a 271 milioni di euro. Complessivamente i beni artistici e storici gestiti dalla Direzione Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo valgono 850 milioni di euro. La decisione, presa nel rispetto degli azionisti, è di straordinaria rilevanza per il mercato dell’arte

Una rivoluzione silenziosa si è compiuta, nel mercato dell’arte, con l’operazione condotta da Intesa Sanpaolo, in seguito alla quale il meglio del suo (ricchissimo) patrimonio artistico è entrato a far parte delle attività strutturali della banca. A partire dal bilancio al 31 dicembre 2017, il valore delle opere d’arte più preziose delle sue collezioni, sul piano culturale ed economico, è stato rideterminato a fair value. Usciti dal limbo dei «beni rifugio», o comunque dal ruolo subalterno vissuto sinora, questi beni artistici ora fanno parte a tutti gli effetti, e con l’identica dignità degli altri asset, del patrimonio del gruppo.

Al di là del significato dell’operazione nell’ambito della tutela degli azionisti, si è compiuta una vera legittimazione dell’arte da parte del mondo della finanza, che non potrà che riverberarsi positivamente sull’intero sistema. Che tale «rivoluzione» sia partita da Intesa Sanpaolo non è casuale: poche banche, nel mondo, possono infatti vantare un patrimonio storico artistico della consistenza e della qualità di quello detenuto dal gruppo.

Nessuna, poi, possiede tre musei del calibro delle Gallerie d’Italia di Milano, Napoli e Vicenza: visitate da 500mila persone nel solo 2017, le Gallerie d’Italia si aprono in palazzi storici della banca, e sono al tempo stesso spazi espositivi, luoghi di conservazione per le collezioni permanenti e centri di produzione di cultura. Vi si tengono mostre di grande valore, gratuite per i giovani sotto i 18 anni, per i dipendenti e in molte occasioni anche per i clienti (così come gratuiti sono i laboratori didattici), e, ciò che più conta sul piano dell’impegno culturale, interamente prodotte dal gruppo che ne affida sempre la curatela agli studiosi più autorevoli di ogni materia.

«Siamo una realtà unica, commenta Michele Coppola, direttore centrale Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo, si potrebbe dire forse un’eccezione, certamente un’“eccezione positiva”, proprio a partire dalla consapevolezza di come dare valore alle collezioni d’arte di proprietà. Non compriamo sul mercato iniziative culturali organizzate altrove, ma realizziamo produzioni originali nei contenuti, che rispondono a intuizioni talora legate alle espressioni artistiche del territorio, talora alla “riscoperta” di autori la cui notorietà non è pari al loro talento artistico. Un caso recente è rappresentato dalla mostra “L’ultimo Caravaggio”, costruita intorno al nostro “Martirio di sant’Orsola”, l’ultimo dipinto del grande pittore, inserito da Alessandro Morandotti in un contesto che restituiva valore e centralità a due artisti come Bernardo Strozzi e Giulio Cesare Procaccini, poco noti al pubblico ma autentici maestri e presenti in mostra con veri capolavori».

Ed è proprio in virtù di tale specificità che Intesa Sanpaolo, su stimolo del ceo Carlo Messina, ha avviato recentemente un progetto organico teso a rideterminare a fair value il valore patrimoniale della parte più significativa (sul piano culturale come su quello economico) del proprio patrimonio storico artistico, tanto ricco per consistenza e qualità da porla, in questo ambito, nella top ten mondiale delle banche.

«Nei decenni passati, quando è stato necessario inserire migliaia di voci nelle scritture contabili della banca, sono state assunte as they were le informazioni delle istituzioni conferenti, scontando i limiti delle catalogazioni preesistenti (quando esistenti), commenta Fabrizio Dabbene direttore centrale Amministrazione e Fiscale Intesa Sanpaolo. Le iscrizioni e le prassi bilancistiche variavano da caso a caso, una situazione non facile da gestire e cumulatasi quando obiettivamente il tema non rientrava nelle priorità di banche che non ritenevano certamente centrale la risoluzione di problematiche riguardanti i patrimoni storico artistici dovendosi misurare con le complessità date dai processi aggregativi».

Sono oltre 30mila i beni d’arte del gruppo, che spaziano dall’antico al contemporaneo e si caratterizzano per grande eterogeneità includendo generi, tecniche e supporti molti diversi; accanto a migliaia di dipinti, sculture, disegni, incisioni, fotografie, stampe e litografie (realizzati in epoche assai differenti) si trovano reperti archeologici, libri antichi e codici miniati, arazzi, icone russe, senza trascurare arredi di ogni periodo e tipo.

Il patrimonio artistico di Intesa Sanpaolo è frutto di un processo, tuttora in corso, di aggregazioni, fusioni e incorporazioni (oltre 100 in vent’anni) di istituti che portavano in dote collezioni di valore, che si sono sommate a quelle originarie. Ognuna di esse, però, era stata contabilizzata con criteri differenti: c’era chi non iscriveva affatto a bilancio i beni artistici, liquidandoli come «arredi»; chi assegnava a essi un valore simbolico (mille lire, diventate poi 50 centesimi di euro), considerandoli ormai ammortati, e chi invece li aveva rivalutati a valori di mercato, per effetto di operazioni straordinarie. Si trattava perciò di riallineare tali valori, ricomponendo una sorta di gigantesco puzzle, non prima, però, di aver individuato a questo scopo rigorosi criteri di sistematizzazione, integrazione e aggiornamento delle informazioni disponibili e aver condotto uno studio sulle strategie delle 25 maggiori realtà internazionali analoghe.

Michele Coppola e Fabrizio Dabbene con le rispettive strutture operative hanno lavorato a questo progetto complesso e stratificato supportati da consulenti di prim’ordine, da Eikonos Arte (società di Art advisoring che non solo collabora dal 1998 con Intesa Sanpaolo Private Banking per gli investimenti in arte, ma conosce a fondo il patrimonio artistico della banca) alla società di consulenza strategica B2G, all’advisor Partners. Tutte le scelte effettuate e le risultanze ottenute sono state portate all’attenzione degli amministratori nelle sedute organizzate con il Comitato Rischi e il Consiglio di Amministrazione. Inoltre, il lavoro è stato oggetto di continua comunicazione con la Banca d’Italia a ulteriore conferma del suo impatto sul Bilancio di quella che è la prima banca del Paese.

Ne è scaturito un documento dettagliato (e aggiornato agli studi più recenti sulla materia), che ha permesso, nel corso del 2017, di rideterminare a fair value la parte più significativa del patrimonio artistico della banca, sino ad allora valutata, come tutti gli altri suoi beni materiali, secondo il criterio del costo.

«Tecnicamente abbiamo abbandonato la valutazione delle opere in base al criterio del costo storico per adottare quello della rideterminazione del valore, corrispondente al fair value(valore determinato sulla base di apposita perizia effettuata da periti professionalmente qualificati indipendenti) spiega Fabrizio Dabbene. Per le opere più importanti sono state richieste o aggiornate perizie prodotte da altri soggetti come case d’aste e periti specializzati in campi specifici. Nel caso è stato sempre considerato il valore di mercato corrente nella piena consapevolezza dei limiti imposti dalla normativa nazionale che deprime, e non poco, il valore potenziale che le opere potrebbero riscontrare sui mercati internazionali».

Il lavoro si è concluso in tempo utile per poter iscrivere i valori delle «opere d’arte di pregio» con la nuova e aggiornata valutazione già nel bilancio del 31 dicembre 2017. Dove figurano con un valore di 270,5 milioni di euro. Non che sia stato un percorso facile. Continua Fabrizio Dabbene: «Non c’erano precedenti: si trattava di identificare queste opere per iscriverle nel bilancio certificato di un’impresa quotata. Il punto di partenza non poteva che essere una corretta catalogazione». Prima ancora, però, occorreva razionalizzare e uniformare le informazioni disponibili su tutti i beni artistici della banca, sino ad allora iscritti in tre data set difformi tra loro (Libro cespiti, Database catalografico interno, Repertorio perizie), al fine di classificarli correttamente e di enucleare dalle loro 30mila unità quelli che per particolare importanza davvero potevano essere annoverati fra i «beni di pregio».

Dopo un esame laborioso, i beni sono stati suddivisi in quattro macrocategorie (cfr. box p. 28), solo la prima delle quali è formata dalle «opere di pregio storico artistico». Tre i criteri utilizzati (con il costante supporto dei consulenti) per identificare le opere come tali: la loro valenza storico critica e artistica, determinata in base a una vasta letteratura specialistica; lo stato di conservazione (per esempio, i beni restaurati per oltre il 50% della superficie non sono stati considerati autografi con conseguente perdita del valore economico) e la rilevanza economica, desunta dalle maggiori banche dati mondiali sui prezzi di aggiudicazione in asta e da altri canali, da cui si è ricavato il valore di mercato corrente, «corretto» però dai limiti imposti dalla nostra normativa e da altre variabili.

Solo le opere che presentano un valore storico critico ed economico rilevante, con un mercato di riferimento spesso internazionale, passaggi in asta frequenti e serie di prezzi complete sono state inserite nella categoria «opere di pregio storico-artistico» (l’unica di cui sinora si è rideterminato il valore a fair value), che comprende 3.500 opere d’arte sulle 30mila del patrimonio complessivo (tra cui, per citarne solo alcuni esempi, i 522 vasi attici e magnogreci della storica collezione Caputi, la raccolta di 424 icone russe considerata fra le più importanti in Occidente, i 473 dipinti e sculture dell’Ottocento lombardo e napoletano, fino alla collezione del Novecento che conta 1.356 opere e a cui è dedicato alle Gallerie d’Italia uno specifico progetto di valorizzazione, Cantiere del ’900).
Mentre i beni che non sono entrati in questa classe, che sono stati mantenuti al costo storico, sono stimati intorno ai 30 milioni. «Naturalmente, precisa Michele Coppola, non abbiamo intenzione di fermarci qui. Incrociando i tre dati abbiamo individuato un nucleo significativo, ma comunque circoscritto, di opere. Molte altre, però, possiedono almeno due di questi requisiti e se si assisterà, per esempio, a nuove attribuzioni o alla rivalutazione di un artista sinora trascurato, nulla vieterà di “promuovere” le sue opere al primo livello. Insomma, continueremo a studiare le collezioni e ad aggiornare i dati. Senza dimenticare le nuove, possibili acquisizioni, frutto di acquisti, donazioni o altro».
L’aggiornamento dei valori delle 3.500 opere di pregio a fair value, ha evidenziato una plusvalenza netta di circa 207 milioni al lordo dell’effetto fiscale. Cui vanno aggiunti i valori degli immobili di pregio destinati a funzioni museali ed espositive (che fanno capo anch’essi alla Direzione centrale Arte, Cultura e Beni storici, in coordinamento con la Direzione Centrale Immobili e Logistica), calcolati in 250 milioni.

La Direzione gestisce anche la collezione di capolavori dell’arte contemporanea italiana e internazionale formata da Luigi e Peppino Agrati (il cui valore si stima essere superiore a 250 milioni di euro) e la raccolta Fondazione Cariplo (assicurata per 40 milioni) in comodato alla banca tra cui i dipinti dell’Ottocento valorizzati alle Gallerie d’Italia. Pertanto gli asset under management della Direzione Arte, Cultura e Beni Storici sono complessivamente superiori a 850 milioni di euro.

Inutile dire che il possesso e la gestione di un tale patrimonio comportano responsabilità nella conservazione, nella movimentazione e nella circolazione nazionale e internazionale delle opere, molte delle quali sono state oggetto, da parte del Mibac, di una «dichiarazione d’interesse culturale», che nel momento stesso in cui faceva di esse dei beni artistici di valenza museale, imponeva alla banca il rispetto dei vincoli stringenti delle normative ministeriali, la cui infrazione (tra l’altro) può comportare anche sanzioni penali per gli amministratori.

Indispensabile, dunque, una struttura dedicata, con competenze specialistiche, in seno alla banca stessa, che ha costituito la Direzione centrale Arte, Cultura e Beni Storici: «La nostra struttura, spiega Michele Coppola, raccoglie competenze diverse e trasversali, maturate sia in ambito aziendale che in altri contesti. Siamo oltre 60 tra manager, architetti, storici dell’arte, conservatori, archivisti, contabili, professionisti della comunicazione e del marketing culturale. A questi si aggiungono più di 100 giovani storici dell’arte che lavorano all’interno delle Gallerie d’Italia per l’accoglienza e le visite guidate. Oltre alle proprie risorse interne, la nostra Direzione si avvale del supporto di altre strutture della banca, in relazione alle rispettive aree di competenza, e dell’ausilio di esperti, curatori, restauratori che collaborano per la realizzazione delle nostre attività. Il piano triennale delle iniziative da noi prodotte, che chiamiamo Progetto Cultura, nasce grazie al contributo di un gruppo di lavoro formato da Paolo Grandi, Gianfranco Brunelli, Fernando Mazzocca e Aldo Grasso, sotto la guida del professor Bazoli e del professor Gros-Pietro».

Il patrimonio culturale di Intesa Sanpaolo, valorizzato e condiviso con la collettività, è stato perciò di stimolo per un ben più vasto piano strategico di salvaguardia e valorizzazione, in collaborazione con il settore pubblico, del patrimonio storico artistico nazionale, mentre il patrimonio intangibile di conoscenze e strumenti di valutazione messi a punto in quest’occasione da Intesa Sanpaolo non solo potrà essere condiviso con altre realtà analoghe ma è diventato una componente fondamentale della missione di responsabilità morale e civile che Intesa Sanpaolo si è da sempre assegnata.
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