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Diego Velázquez. "Venere e Cupido" (1648), origine, distruzione e restauro dell'unico nudo superstite dell'artista spagnolo.

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nudo - Diego Velázquez. "Venere e Cupido" (1648), origine, distruzione e restauro dell'unico nudo superstite dell'artista spagnolo. Empty Diego Velázquez. "Venere e Cupido" (1648), origine, distruzione e restauro dell'unico nudo superstite dell'artista spagnolo.

Messaggio Da Notaio Dom 24 Nov 2019, 23:37

Aprendo una sezione dedicata a Velazquez, non si può non partire da questo dipinto, "Venere e Cupido" è un dipinto a olio su tela (122,5x175 cm), databile al 1648 circa e conservato nella National Gallery di Londra.

Si tratta di una rarità assoluta, visto che questo dipinto è l'unico esempio superstite di un nudo femminile di Velázquez, che ne avrebbe realizzati in tutto tre, come attestato dagli inventari spagnoli del Seicento.

Autore Diego Velázquez
Data 1648 ca.
Tecnica olio su tela
Dimensioni 122,5×175 cm
Ubicazione National Gallery, Londra

"Venere e Cupido", 1648

nudo - Diego Velázquez. "Venere e Cupido" (1648), origine, distruzione e restauro dell'unico nudo superstite dell'artista spagnolo. Venere10


La Venere raffigura la dea della bellezza, dell’amore, della fecondità e della natura primaverile adagiata languidamente su un letto tra lenzuola di raso, con la schiena rivolta verso l'osservatore e le ginocchia piegate.
Possiamo riconoscere Venere nella figura femminile grazie alla presenza del suo figlio, Cupido. Venere sta fissando uno specchio retto da Cupido, collocato di fronte a lei, che inconsuetamente è ritratto senza la faretra e le ali; in questo modo, la dea rivolge il proprio sguardo all'osservatore del dipinto mediante la sua immagine riflessa nello specchio. Ciò nonostante, il volto rispecchiato della Venere è appannato e rivela solo parzialmente le sue caratteristiche facciali.

La posizione dello specchio, comunque, non è coerente con lo scorcio e in realtà per vedere il volto della dea in quella posizione essa si dovrebbe trovare al posto dell'osservatore: si tratta di una licenza artistica.


Si dice che il nudo di Velázquez sia stato stato dipinto per don Gaspar de Guzmán, il Conte-Duca di Olivares (1629-88), primo ministro di Filippo IV tra il 1621 e il 1643. Oltre a essere stato una potente figura politica era un appassionato collezionista d’arte e bon viveur ( «amava i dipinti quasi quanto amava le donne», mi è già simpatico da subito), circostanza che rende plausibile l’ipotesi che sia stato lui a commissionare un nudo così solletticante.

Nella cattolica Spagna, i pittori venivano dissuasi dal dedicarsi al soggetto del nudo. Nel suo Arte de la Pintura, Pacheco, il maestro di Velázquez, scriveva che l’artista dovrebbe dipingere dal vero solo il viso e le mani di una donna: tutto il resto, al fine di raggiungere l’ideale dovrebbe essere tratto da statue, disegni e stampe antichi e moderni. Qui lo specchio simboleggia la vanitas, è una metafora del passare del tempo e, per estensione, della bellezza. La sua presenza, specie nelle mani di Cupido, può attestare la fugacità dell’amore o, su un terreno morale ancora più elevato, la superiorità del vero amore sul mero desiderio.



Questo splendido dipinto fu danneggiato da un'infelice squilibrata, di cui non cito neanche il nome, che nel 1914 entro nel museo della National Gallery e lo rovinò con un coltello da macellaio. Si beccò una condanna ad appena 6 mesi.
L'opera fu restaurata dai numerosi squarci, tutti riparati grazie al restauro condotto da Helmut Ruhemann.

Eccovi il risultato del danneggiamento del 1914

nudo - Diego Velázquez. "Venere e Cupido" (1648), origine, distruzione e restauro dell'unico nudo superstite dell'artista spagnolo. Danneg10

Storia e origine del quadro.

La Venere Rokeby è uno degli ultimi dipinti realizzati dal maestro spagnolo, che pare avesse dipinto altri due nudi che sono andati perduti nel tempo. Si pensava che il committente dell'opera, sicuramente destinata a una fruizione privata, fosse stato Gaspar Méndez de Haro, marchese del Carpio e politico spagnolo che «amava i dipinti quasi quanto amava le donne»;[1] degli studi condotti da Ángel Aterido nel 2001, tuttavia, hanno portato alla luce che il primo proprietario della tela è stato Domingo Guerra Coronel, e che Halo avrebbe messo le mani sull'opera solo nel 1652. Questa scoperta ha sollevato diverse domande: come e quando la Venere divenne proprietà di Coronel, e il motivo per cui il nome di Velázquez non sia citato nell'inventario di quest'ultimo. Il critico d'arte Javier Portús ha suggerito che quest'omissione possa essere avvenuta per la natura tendenzialmente erotica del dipinto, assai pericoloso in una Spagna che nel corso del Seicento era fortemente cattolica[2]. Dopotutto gli unici nudi noti di tutta l'arte spagnola antica sono oggi la Venere, appunto, e la Maja desnuda di Goya.

La datazione del dipinto è altrettanto problematica. La tecnica pittorica ivi adottata non ci è di aiuto, anche se la forte enfasi messa sui colori suggerisce che l'opera sia stata realizzata nel pieno della sua maturità. Le elucubrazioni dei critici, in ogni caso, hanno datato la Venere tra il 1647 e il 1651, facendo sì che Velázquez l'abbia potuta completare o in Spagna o durante il suo ultimo soggiorno italiano.[1] Pare che la modella fosse un'amante di Velázquez, tale Flaminia Triunfi, romana e anch'essa pittrice di 23 anni. In alcuni documenti emersi recentemente si è scoperto che dalla relazione tra il pittore e la Triunfi fosse nato un figlio maschio di nome Antonio De Silva[2]. Il pittore, dovendo ritornare in Spagna richiamato da Filippo IV, lasciò la custodia del figlio al suo caro amico Juan de Córdoba il quale qualche tempo dopo riuscì ad adottarlo.

In ogni caso, da Haro il dipinto passò alla figlia Catalina de Haro y Guzmán e al genero Francisco Álvarez de Toledo. Nel 1802, Carlo IV ordinò alla famiglia di vendere la Venere, insieme ad altre opere, a Manuel Godoy, il nuovo favorito della corte di Spagna;[3] nell'abitazione di Godoy il dipinto faceva pendant alla Maja vestida e alla Maja desnuda di Francisco Goya. Nel 1813 la tela venne portata in Inghilterra, dove venne acquistata per cinquecento sterline (29,000 nel 2016, al netto dell'inflazione) da John Morritt,[4] che la inserì nella propria collezione privata a Rokeby Park, nello Yorkshire, donde il celebre soprannome del dipinto.

Nel 1906 la Venere Rokeby venne acquistata dal National Art Collections Fund ed entrò a far parte delle collezioni della National Gallery di Londra, dove è tuttora esposta; l'acquisizione fu sostenuta con molto fervore da Edoardo VII, che si adoperò alla causa con un contributo anonimo di ottomila sterline (780,000 nel 2016).[5]
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