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Scompare a 107 anni il rivoluzionario critico d'arte Gillo Dorfles.

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Messaggio Da Notaio Ven 02 Mar 2018, 14:45

E alla fine anche il più longevo dei critici d'arte ci ha lasciato, alla bella età di 107 anni.

Come tanti abitanti della mia terra aveva una sana abitudine beveva il Cannonau il vino rosso tipico della Sardegna, la terra della longevità.

Scompare a 107 anni il rivoluzionario critico d'arte Gillo Dorfles. 12533610


Eccovi alcuni interessanti articoli sulla sua vita e un'intervista.

http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/arte/2018/03/02/morto-gillo-dorfles-aveva-107-anni_9f2207bd-9b68-4cf7-8d16-cb2d94dd0041.html
Quando era nato, nel 1910, la sua Trieste faceva parte dell'Impero austro ungarico. In una vita che ha superato alla grande e non di poco i cento anni (ne aveva compiuti 107 il 12 aprile), Gillo Dorfles, scomparso oggi a Milano, si e' preso il lusso di sperimentare di tutto, dalla medicina alla filosofia, l'arte, l'architettura, la musica, la moda. E ha conosciuto praticamente tutti, da Italo Svevo quando era impiegato in una fabbrica di vernici a Eugenio Montale di cui era intimo, fino a Lucio Fontana, che ha contribuito a lanciare. Ha preso il caffé con Cesare Pavese e battibeccato con Salvatore Quasimodo, e' stato ospite di Frank Lloyd Wright e amico personale di Renzo Piano.

Ma soprattutto ha avuto la fortuna e la forza di essere incredibilmente lucido e attivo fino all'ultimo, tanto da partecipare a metà gennaio alla Triennale all'inaugurazione di Vitriol, una personale dedicata ai disegni realizzati tra il 2010 e il 2016. In parte sarà stata una questione di dna, certo. Come per quel suo corpo magrissimo e per quella sua splendida faccia, scolpita dalle rughe. Ma il suo segreto, forse proprio l'elisir che gli ha garantito una cosi' lunga e bella vita, e' sicuramente nella passione e nella curiosità per il mondo e per il presente, nella capacita' di essere 'contemporaneo' fino al midollo, senza cedimenti. '

'Ho dimenticato meta' secolo e sto dimenticando l'altra meta' perche' voglio vivere nel futuro'', rispondeva pacato, qualche tempo fa ad un intervistatore che aveva fatto l'errore di ricordargli l'età. Arte, gusto, miti, mode: decano dei critici italiani e lui stesso pittore di talento, Dorfles e' stato uno straordinario testimone e protagonista del Novecento e oltre. Nato a Trieste da padre goriziano e madre genovese, laureato in medicina e specializzato in psichiatria, una grande passione anche per i cavalli, Angelo detto 'Gillo' ha da subito preferito l'attività di pittore e l'impegno come critico e studioso d'arte, che lo ha portato poi ad insegnare estetica nelle Università di Firenze, Trieste, Venezia e Milano: ''L'arte e' l'unica passione a cui sono rimasto sempre fedele, sin dalle prime folgorazioni dell'astrattismo di Klee e di Kandinsky'', ha ripetuto spesso. Anche se l'interesse per la psichiatria, le sue letture attente di Jung e Rudolf Steiner, rimarranno una sorta di filo conduttore in molti suoi scritti. Nel 1948, insieme con Atanasio Soldati, Gianni Monnet e Bruno Munari, e' stato tra i fondatori del Mac - Movimento per l'arte concreta e nel 1956 ha contribuito alla realizzazione dell'Adi (Associazione per il disegno industriale). La sua bibliografia e' sterminata come i suoi interessi. In tanti decenni di attività ha scritto monografie di artisti (da Bosch fino a Toti Scialoja), ha pubblicato studi sull'architettura e un saggio che ha fatto epoca sul disegno industriale (Il disegno industriale e la sua estetica, 1963). Con un libro diventato un cult ha insegnato agli italiani cos'e' il kitsch (Il Kitsch, antologia del cattivo gusto, 1968).

E nel 2012, a 45 anni di distanza dall'uscita di quel testo che fu una pietra miliare per comprendere l'evoluzione del cattivo gusto nell'arte moderna, la Triennale di Milano gli ha reso omaggio con una mostra (Gillo Dorfles. Kitsch oggi il Kitsch) per descrivere il fenomeno in tutte le sue più recenti articolazioni. Non solo un testimone, insomma. Ponendosi come figura trasversale e non canonica, Dorfles ha contributo in maniera sostanziale al rinnovamento nel dopoguerra dell'estetica italiana, del modo di vedere l'arte e la produzione di oggetti del nostro tempo, attento alla fotografia come alla pubblicità, spesso provando ad affrontare l'aspetto socio-antropologico dei fenomeni estetici e culturali, facendo ricorso anche agli strumenti della linguistica. Accademico onorario di Brera, Fellow della World Academy of Art and Sciences, Dottore honoris causa del Politecnico di Milano e dell'Universitad Autonoma di Citta' del Messico, ha ricevuto tantissimi premi, dal Compasso d'oro dell'associazione per il design industriale (ADI) al Premio della critica internazionale di Girona, Matchette Award for Aesthetics. Negli ultimi tempi si era concentrato sulla passione per l'alchimia, suo vecchio pallino. Vitriol, l'enigmatico personaggio che aveva inventato nel 2010 e che ha dato il titolo all'ultima rassegna della Triennale, nasconde nel suo nome uno degli acronimi più usati dagli alchimisti. "Ognuno deve costruirsi il suo Vitriol", spiegava paziente al cronista, "la ricerca della Pietra Filosofale è quella del mistero che sta alla base della vita". La sua, confidava, la vedeva come una pietra "piccola, poco pesante". E forse, chissà, alla fine l'ha anche trovata.


Intervista
http://www.corriere.it/cronache/18_marzo_02/morto-gillo-dorfles-la-mia-vita-infinita-francesco-giuseppe-smartphone-34691b1c-1e0a-11e8-af9a-2daa4c2d1bbb.shtml?refresh_ce-cp

È nato austroungarico, suddito dell’imperatore Francesco Giuseppe. Ha giocato a bocce con Italo Svevo, comprato libri da Umberto Saba, litigato con Eugenio Montale. Suo suocero era molto amico di Giuseppe Verdi. Ha ascoltato la bisnonna raccontargli le Cinque Giornate di Milano; è andato in barca sui Navigli. Sua moglie arrivò all’altare al braccio di Arturo Toscanini. Gillo Dorfles tra due mesi compirà 108 anni. Ma non è soltanto un uomo molto vecchio. È uno dei più importanti intellettuali italiani del Novecento, testimone delle avventure artistiche, scientifiche, letterarie del nostro Paese. Questo fa di lui un prodigio e un enigma. Prodigiosa è la sua memoria, più per le cose lontane che per quelle vicine, come i dannati di Dante. Quando gli mancano un nome o un dettaglio, si fa aiutare dal nipote Piero, o controlla sul suo ultimo libro, «Paesaggi e personaggi» (Bompiani)

La Trieste degli Asburgo

Il mio vero nome è Angelo, ma nessuno mi ha mai chiamato così. I Dorfles sono una famiglia di origine austriaca, trasferita a Gorizia: mio nonno era presidente del teatro Verdi, molto fiero di avervi portato Eleonora Duse. Sono nato a Trieste il 12 aprile 1910. Ricordo la città pavesata di bandiere gialle e nere con le aquile, i colori dell’impero. Quasi ogni giorno uscivo in passeggiata con mia madre. Incontravamo un pope barbuto, un prete greco, che mi vezzeggiava: questo mi faceva sentire importante. E passavamo dalla libreria antiquaria di via San Nicolò, gestita da un uomo burbero: “Cos’ti vol picio? No xe roba per ti!”. Era Umberto Saba. Non vidi l’arrivo dei marinai italiani, nel novembre di cent’anni fa; durante la Grande Guerra la mamma mi aveva portato a Genova, dov’era nata. Mio padre, irredentista, era al confino a Vienna. Ma il liceo lo feci a Trieste: il Dante Alighieri. Linuccia, la figlia di Saba, divenne una delle mie più care amiche. Andavo a casa sua almeno due pomeriggi a settimana; e se il padre mi sopportava a malapena, la madre, Lina, era molto gentile. Poi Linuccia si fidanzò con un ragazzo meraviglioso, Bobi Bazlen: fu lui a farmi scoprire Proust, Kafka e soprattutto Joyce. Andavamo a lezione da un professore che l’aveva conosciuto e ci spiegava l’Ulisse, allora ignoto in Italia».

Il salotto di Svevo

«Irredentisti e nazionalisti si trovavano a casa di Elsa Dobra, sorella di Elodie Stuparich, una delle muse di Scipio Slataper: il “barbaro sognante”, l’eroe del Carso. Io frequentavo il salotto di Olga Veneziani, che aveva una fabbrica di vernici sottomarine: una signora dal carattere terribile, che mal tollerava le prove letterarie del genero, Ettore Schmitz, che nessuno conosceva ancora come Italo Svevo. Con lui facevamo gite sul Carso, giocavamo a bocce nelle locande. Il mio primo articolo sul Corriere della Sera, chiestomi da Dino Buzzati, raccontava proprio casa Veneziani. C’era una giovane pittrice, Leonor Fini, eccentrica e vistosa; un mio professore ci vide camminare a braccetto e telefonò a mia madre allarmatissimo: “Suo figlio si accompagna a donne di malaffare!”. Ai bagni Savoia diventai amico di Leo Castelli, che avrei ritrovato a New York, divenuto il più grande mercante d’arte del secolo. Un nipote di Svevo sposò una pittrice, Anna, che sarà la mamma di Susanna Tamaro; che quindi è pronipote dello scrittore».

La Milano dei Navigli

«Da bambino andavo a trovare mia bisnonna, che abitava in corso Venezia, nel palazzo con le quattro colonne al numero 34, costruito da mio prozio. La bisnonna era stata amica di Carducci e mi parlava del Risorgimento: lei c’era. Cent’anni fa Milano era ancora un borgo tranquillo, circondato da orti e cascine. I Navigli erano bellissimi, interrarli è stato un errore. Abituato a città nautiche come Trieste e Genova, Milano mi parve una città d’acqua. Fu un incontro fatale. Passeggiavo lungo il Naviglio che ora è via Senato, andavo in barca nel laghetto di San Marco. Più tardi cominciai a frequentare gli artisti, in particolare Lucio Fontana. Lo vedevo spesso, studiava a Brera con Adolfo Wildt; non tagliava ancora le tele, faceva statue di ceramica, ma era già un grande. Andavo ai concerti con Fausto Melotti e suo cognato Gino Pollini, l’architetto».

L’elettroshock

«Nonostante la passione per l’arte, mi sentivo obbligato a prendere una laurea seria, e mi iscrissi a Medicina. Volevo diventare psichiatra come Ugo Cerletti, l’inventore dell’elettroshock. Fu lui a insegnarmi come si fa: si mettono due elettrodi alle tempie del paziente, la scossa elettrica gli fa perdere coscienza. Era molto impressionante. Dava qualche risultato, ma si usava anche quando non ce n’era bisogno. Dopo tre anni a Milano mi trasferii a Roma, dove fui allievo e assistente di Cesare Frugoni. Ricordo i primi pazienti che interrogai. Un paranoico si credeva Gesù. Un uomo raccontava di aver partorito quattro gemelli di dieci chili l’uno. Un altro viveva in uno stato di priapismo continuo, e disegnava ovunque maialini. Capii che il mio mestiere non era la medicina, ma l’estetica».

Artù Toscanini

«Alla Scala mi portò per la prima volta lo zio Ernesto: era sordo, ma se sedeva in prima fila con la trombetta d’argento riusciva a sentire qualcosa. C’era Toscanini, dirigeva il Falstaff. Io ero fidanzato con Lalla Gallignani, la figlia di Giuseppe, un faentino legato a Verdi che l’aveva portato a Milano per dirigere il conservatorio. Alla sua morte, Toscanini divenne il tutore di Lalla. Fu lui a portarla all’altare quando ci sposammo. “Artù”, come amava firmarsi, era pieno di umanità, molto alla mano; innamorato delle donne, anche troppo. Suo figlio Walter fu testimone di nozze, il ricevimento lo facemmo a casa Toscanini, in via Durini, e andammo in viaggio di nozze all’Isolino, l’isola nel Lago Maggiore di sua proprietà. Le figlie, Wally e Wanda, avevano ereditato l’esuberanza del padre. Dopo la guerra rividi “Artù” a New York. Era molto stanco, ma alle prove gli errori dell’orchestra lo rinvigorivano: “Corpo di una madonnaccia!” urlava gettando la bacchetta».

l superstite dei lager

«Avevo fatto il militare nel Nizza Cavalleria. Avrei preferito il Savoia, per via delle divise, ma l’impiegato a cui mi ero fatto raccomandare fece confusione. In cavalleria non era obbligatorio il saluto fascista, con mio grande sollievo, perché detestavo il Duce. Allo scoppio della guerra non fui richiamato alle armi, avevo già compiuto trent’anni. Sfollammo in un casolare in Toscana, ma andavo spesso a Firenze, alle Giubbe Rosse. Un testimone mi parlò di piazzale Loreto: non riuscivano a fucilare Starace, catturato in pantofole, perché c’era troppa gente, per sparargli dovettero distenderlo sopra il corpo di Mussolini. L’anatomopatologo Cattabeni, amico e collega, mi disse che dall’autopsia emerse che il Duce stava benissimo, a parte le cicatrici di un’ulcera; le malattie che gli attribuivano erano leggende. Incontrai un ebreo livornese quindicenne, sopravvissuto a Dachau e a Buchenwald: mi raccontò che erano costretti a cibarsi dei compagni morti. E vidi passare la brigata ebraica, con la stella di David — gialla su fondo biancoazzurro — ostentata con baldanza».

Montale e la Mosca

«Montale me lo presentò Bazlen a Trieste: fu Eugenio, che chiamavamo Eusebio, a far conoscere Svevo ai lettori italiani. Lo rividi poi a Genova, a Firenze, a Milano, nella sua casa di via Bigli. Stava con la Mosca, che in realtà si chiamava Drusilla Tanzi, ed era terribilmente gelosa di lui. Teneva mia moglie per ore al telefono per lamentarsi delle rivali, fino a quando Lalla osò dire: “Ma perché non lo lasci un po’ in pace?”. Da un giorno all’altro la mia amicizia con Montale finì. Recuperammo in parte solo dopo la morte della Mosca, nel ‘63».

La Milano di oggi

«Tutto questo slancio, chiedo scusa, non lo vedo. Dopo la Seconda guerra mondiale Milano era diventata la capitale culturale d’Italia, soppiantando Torino, Firenze, Roma. Con Munari e Soldati fondammo l’arte concreta. C’erano il design e la grande editoria: Sereni, Vittorini, che oltretutto era un uomo affabile, a differenza di Moravia, un po’ presuntuoso. Ora la società letteraria non esiste più, e non vedo nuovi protagonisti. L’ultimo è stato Umberto Eco».

La longevità

«Com’è la vita oltre i cent’anni? Non amo l’argomento. Ci si annoia, perché si fatica a leggere. Le novità mi piacciono, ho anche preso il cellulare. Non sono morigerato, ho sempre mangiato le cose che mi piacevano: gli gnocchi alla romana, i carciofi, i tartufi; e i fritti. Sono un discreto cuoco, specialità fiori di zucca. Ho sempre bevuto vino rosso, ho una passione per il cannonau. Una volta lo dissi in tv e vari produttori sardi mi mandarono a casa una cinquantina di bottiglie. Poi purtroppo hanno smesso».
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Messaggio Da Giuseppe77 Sab 03 Mar 2018, 02:14

ha avuto una vita molto lunga, piacevole e molto interessante, buon per lui.
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Messaggio Da gerardo Sab 03 Mar 2018, 08:44

Questo 2018 sta segnando la fine di tanti artisti apprezzati.
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Messaggio Da ciccina783 Lun 05 Mar 2018, 15:54

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